Apologia del mitomane
- Francesco Marchetti
- 19 mar
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 4 apr
Che meravigliosa malattia è la mitomania!
mitòmane s. m. e f. [dal fr. mythomane: v. mitomania]. – Persona affetta da mitomania, portata cioè alla fabulazione, a dare realtà alle creazioni della sua immaginazione, spesso vivendo in una realtà fittizia e cercando di imporre anche ad altri, come vere, situazioni puramente inventate: nell’uso com., millantatore, impostore, megalomane.

Ciò che avete appena letto è la definizione di mitomane scritta dalla Treccani, ormai arcaica per i tempi correnti.
É giunto il momento che i giovani di oggi riscoprano la vera bellezza della mitomania, quella più profonda, pronta finalmente a deformare la realtà.
La società odierna è un grande specchio infranto, in cui i frammenti del nostro stesso volto ci smarriscono in mille rifrazioni: non ci sono più verità, né promesse, né un orizzonte da superare. Ogni cosa è relativa, ogni ideale è stato decostruito, smontato fino a ridursi a un cumulo di macerie.
Ma sotto queste macerie, la gioventù soffoca.
Ci hanno insegnato a diffidare dei miti, a scardinare le illusioni, a svelare le menzogne che sostenevano il mondo. Ma senza miti, senza illusioni, non ci resta che il vuoto. Viviamo in un’epoca che non ci chiede più di credere in qualcosa, ma solo di consumare, di adattarci, di partecipare a un eterno gioco d’ombre che ci deruba di senso lasciandoci con un’unica certezza: l’insignificanza.

La giovinezza, che un tempo bruciava di ideali e desideri titanici, oggi sembra languire sotto il peso insostenibile di un mondo che non promette nulla e chiede tutto. Eppure, forse, per fuggire a questa condizione, non occorre altro che abbracciare un nuovo concetto, quasi scandaloso nella sua audacia: la mitomania.
Sì, una mitomania non come menzogna patologica, ma come volontà di credere, di inventare e di essere altro da ciò che siamo. Come un Don Chisciotte che cavalca non per combattere mulini a vento, ma per ricordare al mondo che i mulini possono essere giganti, che la realtà non è più reale di quanto noi decidiamo di renderla.
I giovani oggi, nella condizione postmoderna, non negano di certo la propria libertà, ma la utilizzano per autodefinirsi e auto-imprigionarsi, riducendosi a essere-oggetto anziché affermarsi come essere-soggetto.
Un giovane consulente che recita il proprio ruolo con la rigidità di un automa non è che un uomo che fugge dalla verità di sé stesso. Ma è proprio qui che il mitomane trova il suo riscatto: mentre un consulente si autoinganna per paura, il mitomane lo fa per coraggio.
Il mitomane non nega la propria libertà, ma la plasma, la forza a farsi mito.
Non gioca ad essere altro per sottrarsi a ciò che è: il mitomane inventa un sé più grande, non per fuggire dalla realtà, ma per deformarla.
Il mitomane è dunque un nichilista superato, colui che ha guardato nel vuoto del mondo e ha deciso di riempirlo con la sua fantasia.
In un’epoca che idolatra il realismo sterile e deride il sogno, il mitomane si pone come ribelle.

Come un moderno Sisifo, prende la pietra del proprio destino e decide che non sarà più un fardello, ma un trono.
Riscoprire la mitomania significa restituire alla giovinezza il suo diritto all’eccesso, al delirio, alla grandezza.
Non è una chiamata alla fuga, ma un invito a riscrivere le regole del gioco, a trasformare la vita da sopravvivenza in opera d’arte. È l’audacia di gridare al cielo che le stelle sono nostre, che la realtà non ci definirà mai, perché noi siamo il mito che creiamo.
E allora, giovani, abbracciate il vostro delirio, non come follia, ma come liberazione.
Siate mitomani, non per nascondervi, ma per esistere.
Che cos’è, allora, la mitomania, se non la speranza di una grandezza ormai negata?
APOLOGIA DEL MITOMANE.
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