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TRA MEMORIE E SABOTAGGI

Aggiornamento: 4 apr

- L'IDIOT DIGITAL.


QUESTO CONFRONTO CON LA STORIA, CON LA CONOSCENZA

-E CON IL RISCHIO CHE COMPORTA-

RAPPRESENTA UN PRIMO SVILUPPO CONCETTUALE

PER L'IDIOT DIGITAL, FRUTTO DI UNA SCRITTURA E DI UN PENSIERO CONDIVISO


Parigi, 1969. Nell’aria risuonano ancora le urla soffocate e le utopie bruciate del maggio francese: un’onda lunga, in bilico tra la mutazione e l’infrangersi definitivo. Le strade sono cosparse di volantini ingialliti, smarriti sotto le barricate disfatte, reliquie di rivoluzioni incompiute.


– condivido con la platea un pensiero fulmineo: loro hanno combattuto, e noi? –

Nei caffè, intanto, va in scena l'ultimo atto di una grande illusione: i giovani si interrogano se sia giusto marciare compatti o dissolversi in mille rivoli ideologici. Ed è in questo clima di detriti e speranze, mentre De Gaulle si ritira nel suo esilio volontario e il maoismo francese si insinua nella Rive Gauche, che nasce un giornale destinato a diventare la spina nel fianco di tutti: L'Idiot International. Jean-Edern Hallier ne è l'artefice: scrittore, gladiatore della polemica e maestro della guerra verbale. Più che un giornale, Hallier vuole creare una mina vagante, un pamphlet incendiario che non risponde a nessuna bandiera né fedeltà ideologica. Rivendica per i suoi scrittori un’autonomia assoluta in nome di un’intelligenza critica, mai genuflessa al potere. L'Idiot si radica dunque nella sinistra culturale ma la morde senza pietà, frammentandola ed esponendone le contraddizioni più scottanti. Il nome, già di per sé, è un colpo di genio: omaggio all'idiota dostoevskiano, certo, ma anche dichiarazione di guerra alla seriosità dogmatica di una sinistra sempre più schiava delle proprie liturgie. Per un breve e folgorante momento l’Idiot International è il rifugio di alcune delle menti più feroci e irriverenti della scena intellettuale. Un ordigno editoriale alimentato da caos e contraddizioni, destinato a detonare senza risparmiare nessuno. Simone de Beauvoir ne incarna la parabola: prima sostenitrice, poi dubbiosa, infine apertamente ostile. Nel maggio 1971, stanca di vedere la rivista come una macchina di attacchi scomposti, la ripudia pubblicamente accusandola di alimentare un caos fine a sé stesso, di scegliere la rissa invece della riflessione, la distruzione piuttosto che un’alternativa politica. Senza alleati il giornale si trova solo. Nel febbraio del 1972 crolla sotto il peso dei debiti scaturiti dalle battaglie legali e un passivo di 150.000 franchi. L’Idiot svanisce nel silenzio, sepolto dai suoi stessi eccessi. Poi, 12 anni dopo nel 1984, Hallier lo riporta in vita. Questa rinascita segna un cambiamento significativo nella linea editoriale: da voce ribelle della sinistra a crocevia di ideologie in conflitto, accogliendo penne provenienti da entrambe le fazioni dello scontro politico. Tra le firme di spicco di questa stagione figurano Alain de Benoist, Frédéric Beigbeder, Michel Houellebecq ed Eduard Limonov, insieme ad altri. La loro eterogeneità ideologica generò risultati insoddisfacenti: in quanto la convivenza si basava più sulla ricerca della provocazione che su una reale contaminazione del pensiero. Tra controversie e debiti, L’Idiot si spense definitivamente nel 1994, divorato dalla sua stessa furia iconoclasta.

L'Idiot symbol

Chiusa la parentesi storica mi appresto a sancire la fine di questa conferenza- quale conferenza? All’improvviso, nella calca indistinta che mi affolla il cervello succede qualcosa: una voce femminile. Alzo lo sguardo e non sono più solo. C’è una folla, reale o immaginaria, che mi osserva. Lei insiste, mi fissa. 'Allora è questo che volete? Essere gli eredi dell’Idiot International? L'inaspetta interruzione ci impone in modo quasi violento di discernere il clamoroso malinteso. La ragazza però non si ferma, anzi, affonda il colpo spogliandoci della possibilità di liquidare la questione con quattro frasi ben assestate.  “Oppure vi rifate all’Idiota dostoevskiano? Alla sua purezza radicale, inconcepibile per i nostri tempi a tal punto da apparire oscena.” Continua imperterrita. Ci vuole trascinare, con una grazia spietata, nel fallimento completo del nostro piano editoriale. “O forse non è piuttosto L’Idiota di famiglia di Sartre? L’idiozia come rifiuto, esilio interiore e atto d’accusa. Flaubert—nelle parole del connazionale—non redime, non assolve: sputa sulla mediocrità; pone domande.”


Eccoci al dunque. Ora nella mia testa siamo tutti seduti in fila, come in un tribunale immaginario, un plotone in attesa dell’esecuzione. Guardo Francesco. Lui guarda me, silenzioso. Aspetta, e fa bene: il nome l’ho proposto io, toccherebbe a me rispondere. Ma sarebbe un suicidio, uno schianto in diretta. Rispondere significherebbe sabotare il tutto: addio followers, addio discorso leggero e aneddotico. Penso rapidamente: Bruno! Forse ci salva lui. Eccolo lì, il ciarlatano delle rivoluzioni che fissa il soffitto. La sigaretta tra le dita, irraggiungibile.


Il silenzio ora pesa, tutti aspettano, aspettano che io decida: rispondere e rovinare tutto o sviare e tacere ciò che ci anima nel profondo? Poi, all’improvviso, il lampo di genio. Jay: senza ombra di dubbio il più coglione tra tutti noi, completamente all’oscuro di qualsiasi piano editoriale, si schiarisce la voce, si alza e prende la parola: pare che aspettaste questo momento da tutta la vita.

L'Idiot Video

“Bellissima domanda!” dichiara con franchezza. “Ci dai l’occasione di sviscerare questioni fondamentali.” È carico, scalpita. Si prepara al discorso che, ne siamo certi, distruggerà il nostro movimento. Eppure, nessuno di noi lo ferma: siamo curiosi di sapere fino a dove arriverà, o forse pensiamo che in fondo abbia ragione.


“Siamo nani sulle spalle dei giganti, dobbiamo partire da questa premessa. Non possiamo immaginare genealogie o paragoni con grandezze che non ci appartengono e ci sovrastano. D’altra parte, il nostro nome è legato a tutte le storie che hai evocato. Ma in che modo?” – sorride, lasciando che la pausa si percepisca nello spazio – “Vogliamo spezzare il cerchio chiuso, riaprire gli intrecci, rimettere in circolo significati; questo è il momento di puntare il dito verso l’autoreferenzialità della cultura contemporanea, di evocare rimandi senza creare miti. Perché una cultura, per chiamarsi tale, deve rifarsi ad altro oltre che a sé stessa. Deve emergere da un contesto, senza fluttuare ovunque e in nessun luogo.” Qualcuno dal pubblico si alza: passi rapidi verso l’uscita, un fruscio di giacche infilate in fretta.

Jay prosegue, ignaro: “Attenzione! Rifiutare l’autoreferenzialità non significa cercare un rifugio nel passato. Non ci interessa la nostalgia sterile di chi venera civiltà morte e auspica il ritorno di età dorate. Se è vero che una cultura trae senso dal suo rapporto contestuale – e ciò include anche la storia – è pur vero che può dirsi viva solo se capace di negare la propria immobilità, il suo santificarsi in nome di ciò che è stato.” Forse dovremmo fermarlo…


E allora?” – prosegue gesticolando come un dannato, come a voler percepire fisicamente la risposta tra le mani. “Allora la conoscenza è realmente viva solo quando capace di trasformare e di trasformarsi. Quando rifiuta l'altare e non si accontenta di essere ricordata, ma pretende di essere vissuta.” Jay ora si ferma. Si ferma davvero. Come se avesse intravisto il baratro in cui ci sta trascinando e stesse facendo il conto di quante ossa si romperanno nella caduta. Ma ormai è troppo tardi. E allora fa l’unica cosa possibile. Dopo una pausa che sembra un cedimento, riprende. E questa volta senza freni: “Tornando al punto centrale della tua domanda: vogliamo essere gli eredi dell’Idiot International?” La sala è ormai è vuota. Restano poche persone in fondo e un paio in prima fila, chine sui loro quadernetti. "Sì," accenna la ragazza, polemica. "Torniamo alla domanda iniziale."



Jay non esita. "I nostri omonimi parigini volevano frantumare il panorama culturale, si univano solo in nome della provocazione, null’altro. Ma -ora è lui a porre la domanda- che senso avrebbe frantumare un mondo già così diviso? Noi vogliamo unirci, costruire ponti, contaminarci in un processo conflittuale e creativo. Siamo per questo i nemici dell’Idiot International?" La ragazza sorride, come se avesse intuito la direzione della risposta, come se le piacesse. Si siede, si passa una mano tra i capelli e continua ad ascoltare: "Riportare la storia intatta nel presente significa ridurla a una caricatura! Prendiamo la rivista francese: ciò che ci colpisce non è solo la provocazione ma la tensione che sprigionava, un’energia rivoluzionaria in quanto intrecciata alle contingenze di quel periodo. Nel renderle omaggio, non potevamo limitarci a ripeterla. Abbiamo dovuto darle una nuova forma, trasformarla, spingendola anche in direzioni opposte a quelle originarie." Ma sì, penso dentro di me: fanculo l’alleanza rosso-bruna!



“I giganti che abbiamo scelto – Dostoevskij, de Beauvoir, Limonov, Sartre, Flaubert – se ascoltati attentamente, non concedono a nessuno il lusso della contemplazione priva di risvolti dinamici. Leggendo i loro scritti, inebriati dalla vita che hanno voluto trasmettere, percepiamo un desiderio straripante di agire, di vivere! Tra quelle righe, eccelse come forse mai potranno essere le nostre, riusciamo a scorgere qualcosa che ci appartiene. E allora l’umiltà che ci teneva vicini ai loro petti svanisce in un istante, e ci lanciamo verso il futuro come amplificatori di una grandezza che ci sovrasta eppure ci attraversa. Ci lanciamo nel tentativo di dare anche noi, nella matassa di riferimenti che avvolgono la parola Idiota, un significato che sia anche solo un po’ nostro. Non è la rincorsa ossessiva alla novità. Quale cazzata più grande dell’ex novo contemporaneo! Il pensiero stesso è un bene condiviso, un lavoro di reinterpretazione continua." Jay si sporge in avanti, come a voler trattenere l’attenzione. Gli occhi blu accesi, un fervore ingenuo che lo rende ancora più vulnerabile. "Eppure, ogni tanto, nel gioco delle riprese e delle distorsioni qualcosa è capace di sintonizzarsi in modo innovativo con la realtà. Tutto è già stato detto!? Tutto è già stato scritto!? Forse! Ma non è questo il punto! Vogliamo cercare qualcosa che ci superi. Il mondo oggi è affamato di una strana forma di trascendenza. Non pensate a Cristo, non parlo di religione ma di fili spezzati e vita autentiche.


Francesco sta sudando, il viso lucido come un ghiacciolo che si scioglie in estate. Lo guardo e capisco che condividiamo la stessa paura: forse Jay sta per lanciarsi nella sua solita blasfemia. Comincerà a sparare a zero sulle religioni monoteiste, a insultare tutto e tutti, a trasformare la tensione in un massacro verbale. Lo sappiamo entrambi, può succedere. Ma grazie a Dio, non questa volta.


“Per noi, l’idiota è colui che ancora crede che il mondo possa essere cambiato, che tenta di riallacciarsi ai fili di una grandezza solidale. È chi ha il coraggio di provarci, di sbagliare, e di vedere nell’errore non un obbrobrio ma una scheggia di vita. È la mancanza che si fa possibilità. È l’insufficienza di fronte alla vita stessa. Quel legame incolmabile che ci avvolge intorno al vizio che chiamiamo morte. L’idiota lo sente nel midollo, e proprio per questo si agita, cerca, si sporca..."


Jay continua: “Non l’esperto ma chi vede nel piccolo il grande e nel grande il piccolo, chi non confonde il lavoro salariato, la carriera o i titoli prestigiosi con la soluzione ai problemi esistenziali.”

Salto in piedi!  Accetto il sabotaggio del nostro movimento, ma non le derive populiste, relativiste e qualunquiste in cui Jay scivola quando si lascia trasportare dalla vena. Lo fisso. "Incredibile," gli dico, "avevi viaggiato senza intoppi, parole scritte su pietra… e ora ricominci con questa manfrina dell’inesperto, dei titoli prestigiosi e del relativismo malcelato!"


Jay non si tira indietro, mi risponde, io ribatto. La discussione esplode. Diventiamo i nuovi gladiatori della polemica, ci interrompiamo, ci incalziamo, il tono si alza, gli argomenti si stratificano. Gli altri si inseriscono: Tiberio, Rocco, Martina, Giorgia. Cobra, Pintus, Edoardo! Uno dopo l’altro, la stanza diventa un’arena. L’amatoriale contro l’esperto, la vita che ti supera, il valore del sapere e del tentativo. Il nostro piano editoriale è in frantumi. Credevamo di avere una strategia ma era solo una farsa. E ora, mentre le parole ci travolgono ci accorgiamo che L’Idiot Digital sta nascendo davvero—non come lo avevamo previsto ma come doveva essere. Nel pubblico ridotto a una sola donna, nella furia di una discussione che annulla ogni legge di mercato inizia davvero la nostra idiozia.




Co-prodotto da: Gianmaria D’Alessandro, Francesco Marchetti, Federico Pintus.

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