IL CAFFE' DELLE NOVE
- Federico Pintus
- 4 apr
- Tempo di lettura: 3 min
C’è chi, svegliandosi al mattino, pensa a cosa farà quel giorno. Le cose programmate e quelle inaspettate che incontrerà lungo la strada, i volti conosciuti che saluterà, quel libro da acquistare sfogliato di fretta durante una passeggiata, le scuse da accampare a lavoro per quell’incidente tecnico rimasto ingiustificato, l’ora in cui riuscirà a liberarsi per esplorare un angolo di città incrociato di sfuggita in tram. La lista è lunga, lunga come il numero di persone che abitano questa metropoli, tutte diverse tra loro.
Io penso solo al caffè delle nove:
e questo purtroppo mi basta.
Non ricordo il momento esatto in cui smisi di appassionarmi alla vita, credo sia stato un processo lento, silenzioso, ignorato e quindi inarrestabile. Delle malattie non va temuta la durezza dei sintomi in sé quanto il loro muoversi di soppiatto, i passi come attutiti dal manto nevoso. Tu fai la tua vita di sempre, il frastuono del quotidiano ti trascina con sé e non c’è nessuno che ti avvisa ‘Ragazzo, fermati! Non ti sei accorto di questo brutto ceffo che ti segue passo passo? ’. Chi vuole farti del male opera sempre nel silenzio: i colpi ti mandano veramente al tappeto quando non li vedi partire.
E così ti ritrovi da un momento all’altro con questo filtro grigio che non riesci a rimuovere: è diventato parte di te e non ti lascia, mai.
Ce l’hai davanti agli occhi, dentro lo sguardo, spegne tutto e lo rende insapore, inodore, incolore.
Un giorno qualunque ti svegli e ti accorgi che non ti è rimasto più nulla per amare le tue giornate. L’amore essendo precisamente questo cercare in continuazione pretesti per esprimere il proprio sentimento di attaccamento nei confronti della vita.
Apri gli occhi, meccanicamente ti tiri in piedi, cancelli la sveglia che avrebbe dovuto suonare nel giro di un’ora. Da qualche tempo, non sapresti dire con precisione da quando, non riesci più a dormire quanto vorresti: avverti che il sonno è popolato da certi pensieri anche se non li visualizzi. Ti trascini in bagno mentre tutti dormono, fai quello che devi fare e te ne vai in cucina. La mattina il mattonato di casa è ghiacciato: sei uscito senza calzini perché sentire quel freddo pungente sotto i piedi in fondo un po’ ti piace, ma è roba che dura poco.

«Che dovevo fare? Ah certo, mangiamo». Mangi. «Adesso? Adesso la doccia per Dio! Fai qualcosa ma non stare in piedi con lo sguardo nel vuoto…».
Tanto più che c’è un nuovo vicino nel palazzo di fronte. Quel poveraccio si sveglia ogni mattina alle cinque per lavorare con certi materiali, probabilmente per arredare casa nuova. Non hai le tende nella veranda e agli occhi di quel povero cristo si presenta uno spettacolo immondo: tu, in piedi accanto ai fornelli, appoggiato al tavolo, che guardi nel vuoto fuori dalla finestra, nella tua lisa vestaglia che avvolge un corpo inerte.
«Penserà che lo odio a morte per il rumore…».
Lo odii, sì, ma per tutt’altro: hai visto sua moglie, il figlio, la casa ancora grezza all’interno, da arredare, persino le tracce elettriche sui muri.
E tutto, proprio tutto, sapeva di futuro.
«Buona giornata caro vicino, ti odio».
Cosa ti ha fatto quel poveraccio a parte vivere la sua vita non è chiaro, ma forse è questo il punto.
Vai sul divano, ti sdrai, aspetterai il caffè delle nove. E la tua giornata sarà finita.

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L'IDIOT DIGITAL
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