SETTEMILA GIORNI DOPO
- Cobra
- 11 apr
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 24 apr

“L’uomo che si chiede come vivere invece di prendere la vita come viene
è automaticamente un outsider “
Colin Wilson
Viviamo nell'epoca dell'outsider universale. Un paradosso perfetto, in cui essere fuori è diventata la norma. Dal conservatore all'avanguardista, ci si percepisce come minoranza, come voce contro il sistema. Si va bene, Ma quale sistema?
E se ognuno si sente escluso, chi è l'incluso?
Wilson esplora l'alienazione di chi vive ai margini, interrogandosi sul senso dell'esistenza in una società conformista: analizza il viaggio interiore degli outsider, dalla loro insoddisfazione alla ricerca di un significato più alto, attraverso la solitudine e l'autenticità. La parola outsider suggerisce una posizione marginale, un fuori che presuppone un dentro ben definito. Ma il dentro esiste ancora? La macchina della società contemporanea ha assorbito ogni narrazione possibile, ha trasformato anche la ribellione in una categoria di mercato. La contestazione è diventata un prodotto, l'alterità un'estetica. Ciò che un tempo era marginale - il nichilista, il bohemien, il sovversivo - è ora codificato, impacchettato e venduto come esperienza.
An answer to the question
"Who are today's outsiders?"
"Settemila Giorni dopo"
Clara: «Ci sono due lupi»
Sergio: «Non capisco».
Lei: «Ma come non capisci, ci sono due lupi!»
Sergio: «Ma di cosa parli?»
Lei alludeva ai due lupi di Hesse.
Clara: «Ci sono due lupi, mi capisci?! Uno è la parte buona: le emozioni positive, la speranza, la felicità; l’altra quella delle emozioni negative: la rabbia, la vendetta, l’odio. In quale delle due credi?»
Sergio poveraccio nella sua vita aveva fatto poche cose. Aveva spalato merda nelle periferie di Parigi. Era emigrato dopo aver perso i genitori: i salari in Francia sono più alti e hanno bisogno di manodopera. Ci pensò su qualche momento.
Rifletteva ma la risposta era una sola, e lui lo sapeva. Il lupo cattivo.
Nella vita mentire talvolta può portare la fortuna dalla tua.
Le rispose: «Il lupo buono.»
Clara era una ragazza spontanea, molto intelligente, la vita l’aveva resa scaltra. Amava essere felice e forse era proprio questa la sua ossessione. Dentro di sé sapeva che Sergio mentiva eppure gli credeva con l’innocenza di un bambino, come succede in amore.
Molti movimenti nella sua psiche: un’ascesa di pensieri che prendevano forma e si allineavano ogniqualvolta Clara parlava. Non sapeva più nemmeno dove si trovasse. Sergio, sei finito amico mio.
Sembrava rapito. Era un ragazzo semplice, il bel coglione.
Cosa cazzo ti ridi Sergio con la faccia da pesce lesso. Ma dì qualcosa! Che cosa stai facendo?
Sei forse un IDIOTA?!
Lei ride: «Io sono il lupo cattivo invece»

Erano vent’anni che non si vedevano e che non parlavano. Come dice la canzone: «Telefonami, telefonami tra vent’anni».
E così fecero, settemila giorni dopo.
Quando era squillato il telefono Sergio aveva capito subito chi ci fosse dall’altra parte della cornetta, nonostante lei non avesse pronunciato parola. Non so come, ma certe cose le capisci, e lui dal solo silenzio aveva intuito.
Si stavano parlando come chi si conosce davvero e non si è mai lasciato in una vita intera, come chi sa già tutto. Come due che si amano come animali. Sergio si sentiva ringiovanito di vent’anni.
D’un tratto non c’erano più i dolori, la stanchezza e la noia. La vita con tutta la sua forza sgorgava ora dalla fronte e dal suo petto, la muscolatura riprendeva a sintetizzare i vari nutrimenti che il corpo gli metteva a disposizione.
Cazzo, si era disperato anni prima appresso a quella donna, quella donna che ora dopo sette mila merda di giorni era lì pronta a farlo entrare nella sua vita. Di nuovo. Ancora. Come quando erano piccoli. La vita gli passava davanti, il peso che schiacciava il petto non era più dovuto solo alla forza di
gravità, c’era altro. Ansia? Angoscia? No, solo paura.
Sergio viveva in modo diverso dagli altri che si erano tutti omologati nel passare inesorabile del tempo.
Nel conformismo anticonformista il mondo pareva aver trovato il suo equilibrio perfetto, lui equilibrio non ne aveva mai avuto. Forse era proprio per questo che parlava di sentirsi outsider, ma quando lo faceva si sentiva stupido perché nessuno lo era più veramente.
Da sempre rifletteva su quali fossero le categorie rimaste fuori dalle logiche del potere, la risposta la trovava subito. Erano le donne e i giovani. Nelle gare sportive gli underdog sono coloro che hanno meno possibilità di vincere, nei mercati coloro che rimangono fuori da accordi o cartelli.
Sergio non era né giovane, né una donna, non aveva neanche un’azienda, eppure lo era.
La risposta che al tempo ancora non aveva era che di esclusi non ce n’erano.
L’estrema frammentazione aveva portato alla nascita di miliardi di minoranze, ora erano tutti “alternativi”, al di fuori delle colonne delle pagine dei giornali. Il mondo moderno aveva ucciso i folli, i pazzi, i veri, gli artisti e l’Elite.
Sergio, che bravo Idiota! Lui si sentiva diverso perché era un sognatore, un’idealista. Aveva sfidato ogni convenzione. Una delle sue gioie più grandi era la libertà: non essendo vincolato dalle logiche del potere, poteva perseguire la propria visione senza compromessi e senza privilegi.
Chi è inserito nelle logiche di potere si trova costretto a conformarsi, Sergio invece viveva la sua esistenza rimanendo fedele ai propri valori per costruire qualcosa di nuovo, senza il peso storico della morale.
Il mondo moderno aveva infatti creato una realtà piatta, che riusciva a rappresentarci tutti, attraverso i nostri sistemi e modelli occidentali. Tutti dovevamo vivere secondo le regole: sociali, morali o, peggio, delle dottrine politiche e religiose. Diventa tutto inclusivo a priori e senza possibilità
di alterità: è tutto già previsto, si può seguire solo il protocollo perché possediamo tutte le soluzioni che ci servono per risolvere ogni cosa.
Il lupo, quindi, potrebbe essere chiunque: in questo caso era Sergio. Un uomo normale, che aveva condotto una vita non da “outsider” ma da “underdog”. Stava combattendo da sempre su dove indirizzare i suoi sforzi, era stato buttato giù ma si era sempre rialzato perché credeva che nessuno avrebbe potuto sconfiggerlo fino in fondo.

Aveva provato molte volte vergogna. Sì, perché parecchie delle persone che aveva conosciuto in vita facevano tutt’altro. Si erano tutti realizzati: nel lavoro, nella famiglia, nella casa.
Lui invece no, viveva d’altro: si emozionava per altre cose, non che queste fossero sbagliate. Ma aveva da sempre vissuto d’altro. Una volta si era sentito dire: “Tranquillo troverai un buon lavoro e ti sposerai, non c’è
nulla di cui preoccuparsi”.
Ma anche a 40 anni? A quell’età era pure peggio, si era vergognato di esserlo
più a quell’età che quando aveva vent’anni.
La paura lo stava frenando nella vita: i suoi sogni, le sue idee, il suo pensare erano in blocco.
Infatti, questa diventava una sensazione profondamente anticonformista: non era il terrore di ciò che viene da fuori, ma di ciò che si scopre dentro di sé abbandonando le proprie certezze e le proprie maschere.
È la porta verso la libertà: e fa paura. Sergio però quel giorno aveva voglia di vivere di quella paura: troppe volte era rimasto calmo, aveva scacciato quell’inquietudine dal suo cervello. “Oggi no” pensò, e decise che era ora di assecondarla. La voglia di vivere era tanta, di liberarsi dalla secolarizzazione, la pace era finita.
Con solo il coraggio che parlava disse a Clara:” Ho passato molti
anni ad immaginarti, a come potessi essere diventata.
Se fossi ormai madre, se avessi un cane, se fossi ancora mia. Non lo eri, non lo sei oggi e non lo sarai mai.”
Tornare sui suoi passi era ciò che spaventava Sergio: era un emarginato e non avrebbe mai permesso alla sua mente di fargli percorre la stessa strada. Aveva bisogno di provare una paura nuova.
Sognare di avere delle idee e vivere per quelle era ciò che rendeva Sergio un outsider in questo mondo. La cosa non gli dava né piacere né forza, si sentiva solo allineato con i suoi antenati, aveva fatto parte della materia umana più nobile, quella delle idee.

Clara:” sei ancora un sognatore? Io ti amavo per questo da giovane, e lo sai”
La vita certe volte sembrava assurda, metteva dentro come un mare che tribolava: tu potevi solo guardare e per il momento incassare i colpi.
Sergio aveva deciso, era passato troppo tempo. Sette mila giorni appunto.
Non c'era più quella nostalgia, quella sensazione, quella delicatezza che aveva
ammalato i ricordi per tutti i quei giorni.
C’era la consapevolezza dell’eterno ritorno, di vivere ogni istante come se fosse eterno,
e combattendo così l’ineluttabilità del nostro tempo si allontanarono
fino a non ritrovarsi mai più.
SETTEMILA GIORNI DOPO - L'IDIOT DIGITAL




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