IL VOI. LA MASSA. LA DEMOCRAZIA
- Federico Pintus
- 15 mar
- Tempo di lettura: 12 min
Aggiornamento: 4 apr
“[…] I leader populisti - che oggi vincono le elezioni in tutto il mondo – alimentano quest’idea che la società sia formata da un ‘noi’ e da un ‘voi’ solo perché è la maggioranza (che li vota e sostiene) a pensarlo […] È il modello in cui vince chi grida più forte, chi la spara più grossa […] La maggioranza orientando la politica verso quello che le dice la pancia causa le conseguenze di cui si lamenta […] Firma le ordinanze che comandano di incatenarla a queste idee malsane ma soprattutto alle loro conseguenze […] poi succede questo […] Che si trova il capro espiatorio e ci si redime la coscienza. «Non siamo stati noi, ci hanno manipolato e portato verso tutto questo», si dice.”
PREMESSA
Il progetto che ospita questo scritto, ovvero le persone che lo animano e portano avanti, è visceralmente e consapevolmente favorevole alla democrazia. Un convincimento quindi che nasce sia da passioni profonde che da ragionamenti e discussioni più analitiche. Per le stesse ragioni riteniamo che argomentazioni come quelle contenute nel testo che segue siano importanti.
Le idee infatti non sono solo enti astratti del pensiero. Si producono a partire dalla realtà viva e si muovono in un continuo rimando tra le menti delle persone e il mondo concreto. Considerare la ‘democrazia’ un concetto che stia eterno e immutabile all’interno del Pensiero umano è tanto infantile quanto ritenere lo stesso accada con le sue applicazioni concrete, i suoi risvolti pratici nelle singole società.
Cos’è diventata quindi, nel sentire comune e nella vita concreta di ogni paese, la ‘democrazia’ oggi?
Con quali significati i cittadini dei paesi democratici (ma non solo, anche quelli dei paesi che democrazie non sono) riempiono questa parola, di per sé vuota?
Come questo progetto non è, nei suoi propositi, ostile alla democrazia per principio (il contrario!); così, d’altronde, il sottoscritto ritiene che quest’idea assieme a tutti i suoi risvolti concreti sia diventata problematica.
Perché da troppo tempo è stata relegata nello scantinato in cui giacciono, sequestrate dalla superficialità del senso comune, quelle che un tempo erano idee vive: ora grigi, vuoti e inerti ‘enti astratti del pensiero’.

Premetto che le riflessioni su concetti eccessivamente generici vivono in territori nei quali di solito non mi avventuro.
La ragione principale è che penso a queste categorizzazioni, molto astratte, come un punto di vista non ottimale per osservare il mondo. Lasciano spesso il tempo che trovano e non permettono di zoomare sulla realtà, divenuta peraltro talmente complessa da meritare riflessioni più puntuali.
È però senza dubbio vero che, privati di categorizzazioni, i ragionamenti e le discussioni diventano claudicanti. Specialmente quando si parli, come in questo caso, di problemi che investono una sfera umana che vada oltre lo strettamente personale, coinvolgendo addirittura le ‘società democratiche’ (e non solo).
LA LETTERA
Leggendo la lettera pubblicata nei giorni scorsi (Leggi ora: Non è una minaccia. È una promessa.) sono stato catturato dalle immagini evocate e dalla carica emotiva dei suoi propositi. Ho anche condiviso alcuni punti teorici sottesi al suo evolversi narrativo. Il punto qua però non è se a Caio piuttosto che a Sempronio è ‘piaciuto’ il testo. Avrei semplicemente scritto un commento sotto alla pubblicazione.
Cercherò invece di mettere sul tavolo gli aspetti teorici che non mi trovano in sintonia con l’autore.
Se c’è un lavoro di riflessione che è veramente utile, infatti, è soprattutto quello che porta fuori di sé. Verso idee, cioè, che non ci appartengono ma di cui si scorge una logica, anche minima, sottesa che permetta loro di essere condivise.
Non si tratta di fingere di essere d’accordo su qualcosa, piuttosto portare allo stremo quel lavorio interno di comprensione della realtà. Quest’ultima, infatti, per definizione include anche tutto quello che noi non siamo.
La prima cosa che ho notato del testo è questo suo essere permeato dal desiderio di tirare un freno a mano, fermare la macchina prima che si schianti.
“[…] ripudiamo la guerra e la violenza ma soprattutto ripudiamo questa aria che sempre più spesso si respira, e che quasi con superbia rivendica la necessità di un tale conflitto. […]”
“[…] nell’essere determinati ed uniti rispetto alla battaglia più grande delle nostre vite: evitare che tutte queste tragedie che gravano il mondo si espandano fino a diventare La Guerra […]”
“[…] Sicuramente su una voce ci troverete uniti: che il futuro di questo mondo non si macchierà̀ più̀ come il passato di ributtare il pianeta nelle fiamme di una guerra globale fratricida. […]”
In questi e altri spezzoni si percepisce l’idea che il ‘noi’ narrante (il ‘popolo’, la ‘maggioranza’, per usare una categoria generale) sia quasi costretto e indotto verso certe conseguenze. Suo malgrado.
L’idea, quindi, è che esista un gruppo di persone (il ‘voi’) che, dall’altra parte della barricata, cospirando silenzioso e diabolico, decida per la maggioranza (il ‘noi’).
La mia tesi è che se veramente si superasse quella barricata, verso l’area da questa nascosta, la si scoprirebbe vuota. Meglio, si troverebbero solo degli specchi in cui la maggioranza potrebbe osservare null’altro che se stessa.
È innegabile che oggi il pensiero più diffuso quando si parla della società è che esista una brutale divisione tra ‘élite potente’ (il ‘voi’) e ‘massa impotente’ (il ‘noi’). Non solo, come abbiamo detto si sostiene anche che la maggioranza delle persone (il ‘noi’) sia manipolata e costretta da queste non meglio specificate élites (il ‘voi’) a subire le conseguenze delle loro scelte, quelle della minoranza silenziosa che però detiene il potere.
Le cose stanno veramente così? Non è forse la maggioranza stessa che, inconsapevolmente e indirettamente, causa le disgrazie e nefandezze di cui si lamenta? Partorendo, solo in un secondo momento, un fantomatico ‘voi’ che ritiene esserne il responsabile?

IL RUOLO DELL’AMBIENTE MEDIALE
In che contesto si sviluppa questo ragionamento?
Viviamo in un mondo dominato da un ambiente comunicativo perfettamente integrato e capillare.
Andando all’etimologia di ‘integrato’ vediamo che questa rimanda al termine ‘integer’: vale a dire ‘integro’, ‘unico’. Tutto il mondo connesso a Internet è attraversato da miliardi di miliardi di ‘fili’ (di qui la capillarità) che formano una trama unica di connessioni. Ovviamente nel grafo non tutti i nodi parlano tra di loro: con un sistema enorme di rimandi però si può dire che siano potenzialmente tutti connessi.
Questo ambiente mediale entra nelle nostre vite soprattutto (ma non solo) attraverso il dispositivo tecnologico per antonomasia della nostra epoca, lo smartphone. Un ponte tra ambiente mediale e utente che negli anni si è dotato di sempre più avanzati strumenti utili a ‘misurare’ l’individuo: le sue scelte, cosa fa con la sua attenzione, col suo tempo.
Gli algoritmi - di questo si parla - servono quindi a prendere le misure del singolo, arrivano a conoscerlo con una profondità che lui stesso ignora. Non siamo in grado, in quanto umani, di essere sempre pienamente coscienti dei nostri pensieri, desideri, persino delle nostre azioni. L’algoritmo è una macchina, non ha risorse ed energie limitate, è sempre sul pezzo.
Che cosa fai? A cosa indirizzi la tua attenzione nel corso della giornata? Sono domande che rielaborano un quesito molto più semplice e diretto: «Chi sei?».
Ma sapere chi si ha di fronte significa anche sapere cosa, molto probabilmente, quella persona vuole. E se so cosa vuoi so anche che, dandotelo, catturerò la tua attenzione e approvazione.
In questo senso appare naturale e logico affermare, verità ormai banale da qualche decennio, che nell’ambiente mediale l’idea di imporre verità è superata poiché non conveniente. Il valore supremo che l’habitat digitale in cui siamo immersi persegue è l’efficienza: intesa come capacità di generare engagement, far sì che gli utenti trascorrano più tempo possibile al suo interno. Il modo migliore per perseguire questo fine è, molto banalmente, dare all’audience quello che vuole, dirle quello che vuole sentirsi dire.
Come coniugare questo specifico funzionamento dell’habitat mediale con l’idea del ‘voi’ elitario e potente che impone le sue scelte e le loro conseguenze al ‘noi’?
Si è detto che ‘imporre’ è un verbo dissonante rispetto al mondo in cui viviamo, che il sistema non persegue altro che la sua efficienza, il suo reiterarsi sempre più capillare e onnipotente. Per far questo, però, deve concedere a chi lo abita un ‘diritto’: quello di scegliere con quali contenuti assuefarsi, sedarsi.
La società in cui viviamo si è allontanata da una struttura top-down in cui esiste una ‘centrale di comando’ - è mai esistita? Non in modo chiaro e netto, qualcosa che ci si avvicinava forse, ma è sempre venuto facile pensare il contrario per questa esigenza di semplificazione e categorizzazione che è innata in noi - che cerca di fornire input su come ci si dovrebbe comportare e cosa bisognerebbe pensare.
Oggi più che mai siamo immersi in un sistema che è orizzontale, piatto, parallelo…demo-cratico (il potere diffuso del δῆμος…): una rete i cui cambiamenti e istanze nascono dal basso in alcuni punti, risalgono leggermente in altri per poi diffondersi lungo tutto il piano come un virus.
AMBIENTE MEDIALE, MAGGIORANZA, LEADER CARISMATICI
D’accordo, nessuno ‘impone’ in senso stretto scelte e conseguenze al ‘noi’, alla maggioranza. Ci sarà però qualcuno che, almeno formalmente, si assume la responsabilità di prendere le decisioni, o no?
Ricoprono questo ruolo, formale, tutti quei leader populisti che interpretano nel modo più fedele possibile il volere della maggioranza. Il politico per eccellenza, oggi più che mai, è colui che camaleonticamente diventa ciò che l’elettore vuole.
Questa dinamica è stata esasperata dal contesto mediale di cui si parlava. Non solo questo permette una comunicazione diretta leader-cittadino, disintermediata e in tempo reale; per giunta attraverso la profilazione il volere della platea elettorale è oggi più che mai analizzabile, ergo utilizzabile.
Il peccato mortale della politica oggi consiste quindi nel dire all’elettore solo quello che vuole sentirsi dire. Sui social si crea engagement proponendo contenuti in linea con quello che emerge dallo studio del singolo mediato dall’algoritmo: lo stesso processo avviene in politica.
‘VOI’ E ‘NOI’ COME CIO’ CHE LA MASSA VUOLE PENSARE: PERCHE’?
Come si diceva all’inizio uno dei pensieri, se non il pensiero centrale, che domina la politica oggi è questa idea della divisione tra élites e massa e quella conseguente della manipolazione che il ‘voi’ elitario eserciterebbe ai danni del ‘noi’, il ‘popolo’ impotente e tradito.
Ma se è vero quanto abbiamo detto finora circa il rapporto tra ambiente mediale, maggioranza e leader populisti, appare anche evidente come quest’idea, divenuta un dogma, non sia nient’altro che quello che la maggioranza stessa vuole pensare.
Che questo wishful thinking venga strumentalmente utilizzato (dandogli credibilità e fomentando l’odio da esso derivante) da quei leader carismatici per ottenerne un tornaconto in termini di consenso elettorale non è una novità che possa sorprendere.
La vera domanda è: perché questa divisione, fittizia e inesistente, è diventata il dogma della maggioranza?
La maggioranza oggi è:
sempre meno profittevolmente coinvolta nel processo produttivo e nel mercato del lavoro, stante il sempre più veloce progresso tecnologico che taglia fuori grandi fette della popolazione (non abbastanza qualificata per prendervi parte, perlomeno senza essere costretta ad accettare trattamenti contrattuali al ribasso)
sempre meno capace di interpretare i processi che attraversano le società (economici, tecnologici, comunicativi, politici, religiosi e via dicendo) perché priva della formazione necessaria per operare queste interpretazioni
Vive quindi da un lato un’esclusione o, comunque, una decadenza economica; dall’altro si sente confusa, ha la sensazione di essere in balia di qualcosa di ingovernabile, che non riesce a capire.Questo plausibilmente (e comprensibilmente, avendo sempre ben chiaro in mente che ‘comprendere’ è solo in parte sinonimo di ‘giustificare’) genera:
il desiderio di trovare un capro espiatorio per la propria sofferenza (il ‘voi’ come élite)
una forte frustrazione che a sua volta genera un odio viscerale per l’ordine costituito
Il desiderio profondo della massa è quello di ribaltare l’esistente. Distruggere il mondo per come è diventato, ovvero a lei ostile (non la coinvolge economicamente e si sottrae quando si tratta di comprenderlo, è sfuggente e sempre più difficile da interpretare), e ricostruirlo a propria misura.
Per operare in questo senso ovviamente si affida a chi, uomini e donne forti e interpreti del suo sentire, promettono da un lato di controllare il ‘mondo impazzito’; dall’altro di fare scelte ‘di buon senso’ (tradotto, ‘da bar’) per invertire la rotta.

IL CAMMINO DELLA DEMOCRAZIA E IL SUO ‘TRAGUARDO’
Ci troviamo alla fine di un processo storico iniziato più di un secolo fa, il traguardo che vede il realizzarsi della ‘democrazia’ in senso stretto: si afferma l’idea dell’«uno vale uno», dell’agone politico come mercato in cui prende vita la democrazia diretta (intesa dal senso comune, oggi, come forma superiore di questa idea politica).
È il modello democratico in cui vince chi grida più forte, chi la spara più grossa. I leader populisti, che sono gli agenti di questo processo storico, si guadagnano il favore della maggioranza diventandone il megafono. Le decisioni, prese rispettando a livello formale il procedimento legislativo, vengono imposte a tutti. Sono irrazionali e inefficaci, emotive e superficiali: partorite dalla pancia della massa. Se ne fa carico il capopopolo che cavalca l’habitat mediale: «Devono sentire che sono uno di loro, devo catturare la loro attenzione, il loro tempo, i loro soldi, le loro emozioni, i loro pensieri, il loro tutto. Dobbiamo diventare una cosa sola, per loro votarmi deve diventare come votare per se stessi».
La maggioranza, che sostiene queste idee e le scelte da esse derivanti, senza saperlo si vincola a un futuro fatto da quello che dice di rifiutare: la guerra, la violenza, la diseguaglianza, l’incapacità di provvedere ai bisogni di chi sta peggio di noi. Si danno le condizioni perfette per il realizzarsi di un mondo violento, discriminante, diseguale e inefficiente.
Sostenere la democrazia quasi-diretta (così viene da chiamarla, in attesa di tempi ancora più bui) e le idee che ad essa si associano nel dibattito pubblico:
la teoria dell’uno vale uno;
della pancia e del consenso come criterio superiore di verità e autorevolezza;
della violenza giustificata contro «le élites che ci sfruttano!»;
dell’espropriazione indiscriminata delle ricchezze e della loro redistribuzione (fintamente umanitaria, con viscide finalità elettorali);
della ‘santa ignoranza’;
del confronto vissuto come impasse inutile, perdita di tempo;
della necessità del pugno duro dello Stato che strizza l’occhio all’autocrazia;
dell’emarginazione e compressione dei diritti delle minoranze in nome della volontà superiore del demos;
la legittimità dell’impiego della spesa pubblica da parte della politica per fare compravendita di voti…
…poi quando arriva il conto da pagare ci si pulisce la coscienza. «Sono loro che ci hanno messo l’uno contro l’altro!», «Sono loro che ci hanno messo in questa situazione!».
Succede questo (cito dalla lettera)
Che si trova il capro espiatorio e ci si redime la coscienza. “Non siamo stati noi, ci hanno manipolato e portato verso tutto questo” si dice.

RICAPITOLANDO
Il “voi” di cui si parla nella lettera è lo stesso che oggi occupa buona parte del discorso pubblico globale. Una supposta élite che, mossa da interessi e col favore delle tenebre, opererebbe delle macchinazioni volte a manipolare il resto della società. Imporrebbe, cioè, delle scelte - e le loro conseguenze - a un ‘noi’ disorganizzato, succube, ignaro e impotente.
Nella lettera, quindi, c’è un’equazione tra il ‘voi’ così definito e le conseguenze inevitabili provocate dalle sue scelte: conseguenze che la maggioranza, il ‘noi’ sottointeso nella lettera, sarebbe costretta a subire passivamente.
L’idea di chi scrive non è tanto quella di sostenere che i problemi che oggi affliggono il mondo, e che emergono tra le righe nella lettera, non esistono. Tutto il contrario. Piuttosto che cercare la loro causa in questo supposto ‘voi’ elitario è mettere fuori fuoco la questione.
I leader populisti - che oggi vincono le elezioni in tutto il mondo – alimentano quest’idea di una società conflittualmente scissa in un ‘noi’ e un ‘voi’ solo perché è la maggioranza - che li vota e sostiene - a pensarlo.
‘Élites ricche’ contro ‘massa di sfruttati’; ‘élites organizzate’ contro ‘popolo indifeso’. Lo fanno nascondendo il loro principale interesse – questo sì, elitario! – che è quello di guadagnarsi il consenso dell’elettorato e soprattutto mettendosi dalla parte del ‘noi’: come paladini dei diritti calpestati di tale gruppo. Spingono l’idea di essere minoranza, se non numerica quantomeno in termini di influenza: ‘coloro che non hanno il potere che hanno gli altri, l’élite’.
Rivendicando il fatto di essere i rappresentanti della maggioranza numerica della società e spiegando come questa, in termini di potere, sia in realtà la minoranza schiacciata.
Non c’è l’esigenza di analizzare dinamiche concrete ed eventualmente prendere contromisure, piuttosto un mero tornaconto elettorale a breve termine. Io ti dico quello che vuoi sentirti dire, tu mi voti.
Il peccato originale è quindi sì commesso da coloro che sussurrano all’orecchio dei singoli ciò che questi vogliono sentirsi dire ma in primo luogo, sempre e comunque per primi, dai singoli stessi.
«La massa che vive nell’ambiente mediale vuole l’odio contro i ricchi e i potenti? Glielo do, in misura anche maggiore di quanto lei stessa non voglia: devo catturare la sua attenzione, il suo tempo, i suoi soldi, le sue emozioni, i suoi pensieri. Per ottenere il suo voto.»
Una politica che ragiona e opera in questo senso è votata al breve termine e non sarà mai in grado di farsi carico dei problemi che il presente ci mette dinanzi. Inseguendo il consenso della massa, e soltanto quello, il dibattito politico risulta violento, superficiale e improduttivo. Assume, cioè, le caratteristiche della platea che intende conquistare.
Le conseguenze nefaste verso cui il mondo si dirigerebbe - secondo la lettera - sarebbero quindi, a una più attenta visione, prodotto inconsapevole di coloro che le denunciano. È la massa stessa a firmare le ordinanze che comandano di incatenarla alle sue idee ma soprattutto alle loro conseguenze.
Il “voi” contro cui si dovrebbe lottare, contro cui la maggioranza alza al cielo le sue maledizioni, è la maggioranza stessa.

IL VOI. LA MASSA. LA DEMOCRAZIA. OUT NOW.
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