QUESTI LUNGHI TRAMONTI SENZA UNA SERA
- Franco Olivo
- 28 mag
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 30 mag

Erano almeno sei impanianti mesi che scriveva tutto il giorno. Con le dovute pause, si capisce. Convegni, concerti e quelle visite in Germania pressoché obbligatorie, se voleva veramente fare le cose sul serio. Aspettare che venisse giù lui era fuori discussione, avrebbe significato logorarsi ad attendere il grande passo da un claudicante confuso. Si era sorpresa sicura, andarsi a prendere quella relazione che sapeva l’avrebbe riempita e poi svuotata e poi riempita ancora. Poi era stata chiara fin da subito, aveva volutamente usato nelle prime tre frasi le parole «il mio fidanzato», e «relazione a distanza» di modo da non far prendere all’incontro una piega tragicomica. La settimana prima in effetti sembrava già una vita fa: c’erano pur sempre stati duemila chilometri, un paio di amplessi e una serata lunghissima di mezzo. Non aveva alcuna intenzione di vanificare tutto quell’impegno mentale. Non se lo poteva neanche permettere, con la consegna oramai alle porte. Così, quelle due colazioni di fila insieme erano già niente più di un bel ricordo nella sua mente, diceva a sé stessa, e poco altro. Quell’uomo che ora le sedeva di fianco, vestito troppo leggero per essere la sera della vigilia di primavera, era curato e commendevolmente elegante ma inevitabilmente modesto. La malattia ancora si intravedeva sul suo magro corpo vestito, seduto in maniera flessuosa, ai limiti della dinoccolaggine. Il volto, però, non era mai stato troppo semplice da decifrare. Gli occhi sembravano rincorrere separatamente punti sempre diversi dello spazio, e l’inclinazione della nuca indicava costantemente angoli opposti. La bocca poi aveva una forma strana, sembrava quasi possedere un broncio naturale, incorniciato da un paio di baffi troppo poco folti per creare una maschera credibile. Lei lo associava a quello strano sguardo, quasi artificiale, e glielo aveva anche detto, con dolcezza. Quello che però si chiedeva davvero dentro di sé era se fosse mai stato possibile amare qualcuno che non si poteva guardare occhi negli occhi. Chissà se l’avrebbero riformato, con un’operazione come quella alle spalle e una malattia pressoché inestinguibile. Non era bello in senso canonico ma aveva un suo fascino, doveva riconoscerglielo. O per lo meno ci investiva: magari non sarebbe mai diventato un attore importante come sognava, ma non si poteva dire non avesse creduto in sé. Era davvero strano pensare ora a come appena sei giorni prima si era preso cura di lei. Era palesemente ancora attratto, il fiore del primo giorno e le carezze del secondo ne erano la prova: un’emozione intensa e piacevole, condivisa come sapevano fare quando avevano apprezzato insieme il gusto per i dettagli nelle fotografie, quel negozio di design o la musica sconosciuta ai più. Le era anche sfuggita una mezza frase: «altro che…» fermandosi in tempo, evitando di infierire. Oramai era impegnata e convinta, avrebbe avuto senso una bella amicizia, fosse stato d’accordo. E poi ad esser obbiettivi non c’era mai stato niente di niente tra loro, neanche un bacio. Come tutti gli uomini lui non aveva neanche provato a nascondere quell’interesse, ci era abituata suo malgrado; come troppi uomini poi però non ci aveva mai provato davvero ad esprimere chiaramente quel sentimento. Ora, dopo quasi tre anni, sperava almeno fosse solo un sentimento, e non un’ossessione. Lui aveva fatto un po’ il superiore, parlando della cosa come trascorsa, acqua passata. Ma aveva sbagliato qualche tempo verbale, e il risultato era una sequela di parole tenere con un tono leggermente ridicolo. L’aveva definita «un punto di riferimento», alzando la mano stesa orizzontalmente in mezzo all’aria, verso l’alto. Forse uno dei complimenti più inusitati ed eccentrici che avesse ricevuto in vita sua; si era sorpresa a riderne insieme, lievemente imbarazzata. Non si poteva negare che stessero bene loro due. Eppure, pensando di avere davanti un uomo che le faceva intendere, conscio di non avere nessuna speranza, di amarla sinceramente da tre anni, non poteva non pensare agli ennesimi due femminicidi di cui aveva letto prima, stanca, sul letto di casa. Chissà se un uomo come lui era capace di uccidere.

L’arruolamento sembrava ormai ineludibile, per lo meno come idea. Togliere la vita a una donna per mania di possessione o a un altro uomo per ordini di guerra in quell’istante le sembrarono sullo stesso piano di irrealtà, azioni ugualmente assurde se associate alla persona con cui stava bevendo una birra anziché cenare. Si ricordò di quel motto anarchico che gli aveva sentito pronunciare una volta: «morire per la patria, morire per niente». Sarebbe rimasto coerente alle sue idee o ne avrebbe approfittato? Con i titoli che si ritrovava di lì ad un anno non sarebbe stato difficile tentare la carriera da ufficiale. Il che l’avrebbe verosimilmente tenuto al sicuro dal fronte, garantendogli una sicurezza economica e personale per sé e per i suoi cari. Del resto, non l’avrebbe certo biasimato per questo. Sarebbe addirittura stato un ottimo pretesto per troncare per sempre i rapporti, al bisogno. Una cosa era certa: se pensava queste cose era perché non avevano più vent’anni.

Realizzò in questo modo che la guerra era il più grande dei rovesciamenti: probabilmente l’unica situazione in cui non conviene proprio avere vent’anni e tutta la vita davanti. Se avesse voluto interrompere quel flusso di dichiarazioni d’amore avrebbe potuto tirar fuori l’argomento. Ma in fondo era profondamente romantico e quindi a suo modo appagante pensare come quest’uomo, che tra le righe le giurava amore sincero, avrebbe potuto non vivere più entro cinque anni, o fare una carriera che nessuno gli avrebbe mai nemmeno consigliato conoscendolo, con qualche centinaio di morti sulla coscienza. Fosse finito in carcere o latitante come disertore, la sua aura ne avrebbe certo giovato. Ma quella malattia complicava tutto, rendendolo ricattabile o, peggio ancora, relegandolo ai margini della storia come semplice spettatore. Le ricordava quelle personalità letterarie di inizio Novecento: il mondo in subbuglio, nazionalismi ovunque, emaciato e innamorato, sempre con un colletto e un orologio meccanico addosso, molto galante e senza un soldo; fondamentalmente antimilitarista, ma magari anche così deluso dalla vita e dall’amore da volersi solo annientare in un meccanismo più grande di lui. Poteva di certo essere una buona soluzione per lui, e anche per lei: tra di loro sarebbe rimasto solo l’amore espresso e mai vissuto, ma nessun rimorso. L’avrebbe ricordato, anni dopo, come una mente brillante scomparsa troppo presto, e non si sarebbe mai più fermata a fantasticare su quello che le stava dicendo ora, vale a dire che in un’altra dimensione loro due si stavano amando da un pezzo, che quello che lo rattristava era il potenziale sprecato tra loro, più che il rifiuto in sé. Anche la sua psicologa le diceva spesso di lavorare sul potenziale inespresso delle situazioni interpersonali, piuttosto che sul valore immediato che poteva metterci lei sola. Forse proprio per questo in bocca a lui quelle affermazioni le risultarono quasi fastidiose. Si ritrovò, contrariamente a quanto espresse a parole, a dargli ragione sul punto precedente: le cose brutte a dirle a voce alta scompaiono, ma anche le belle purtroppo. Così decise che ne aveva abbastanza e si fece riaccompagnare sotto casa, ringraziandolo velocemente e un po’ di maniera per la birra e il tempo offerti. Pensò a come la vita sapeva decisamente prendersi gioco di lei, quando voleva. Aveva sbagliato orario dell’appuntamento rischiando di dargli buca, ma poi aveva deciso di raggiungerlo un paio d’ore dopo, anche se stanca. Proprio il giorno che quest’uomo si era deciso a dichiararsi. In Germania, nel frattempo, il suo fidanzato non era mai stato così frenato e a fatica esprimeva interesse, figurarsi romanticherie o dolcezze di quel tipo. Era già tanto che si fossero rimessi insieme. Forse la guerra era davvero una soluzione. Chissà se si sarebbero mai trovati uno contro l’altro senza neppure conoscersi, quei due uomini. Si disse che in caso, piuttosto che ammazzarsi tra loro, avrebbero dovuto fondersi. Ma questa era una fantasia troppo astratta anche per una pensatrice di professione come lei.

QUESTI LUNGHI TRAMONTI SENZA UNA SERA
di FRANCO OLIVO
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