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L'In Significato dell’Essere

Breve Genealogia e Divenire della Frammentazione dell’Uomo


L'In Significato dell’Essere

Quando sorse il sole per la prima volta nella mente e nel cuore dell’uomo, questo avvenimento venne visto e sentito come fenomeno dell’esterno e come presenza all'interno, rendendo assoluto il vivere dell’uomo con e fra sé e la realtà.

Le preghiere e le speculazioni razionali non erano ancora entrate nello stare dell’uomo: il rito e l’intuizione furono le divinità umane per tutti gli uomini in questo frangente di tempo e rappresentazione. 


Alto poi si levò nel cielo questo sole, e così pure gli sguardi e i sentimenti degli uomini: essi si immaginavano già nei cieli! Ma come salirono gli istinti, così pure discesero, si allargarono, si resero più profondi - e così l’uomo incominciò a pregare alla sua maniera, ma stavolta per dèi che si elevarono dalle necessità dell’uomo per giungere più in alto (non necessariamente più in là…) dello stesso. Se dapprima nell’uomo c’era ancora una sorta di attaccamento e volontà verso la terra e il proprio corpo, insieme a ciò il suo sguardo, comunque, era sempre rivolto verso ciò che va oltre la singola contingenza (ma non la realtà), perse poi questa fiducia nella propria esistenza per cercare nell’ignoto una via di salvezza e delle risposte. Ma l’ignoto delle menti e degli animi non si riferisce unicamente al caos primordiale in cui l’esistenza vive: essi si pongono volutamente il Velo di fronte ai sensi e all’intelletto, non contemplano e sperimentano il necessario mistero del ritorno alla frammentazione dell’essere, della sua volubilità ed eterna fame; è il mistero di chi o nulla sente e conosce,di chi dietro alle formule e alle leggi maschera il proprio terrore per questo Assoluto.

Per i credenti e scienziati Quello non ha davvero importanza, perché importante non è la brutalità e il legame di tutto l’esistente al torrente della vita, ma la certezza della vita che si costruisce sopra al vuoto di ogni costruzione; la certezza che le proprie fondamenta, grazie a quella divinità o un'altra, devono e dovrebbero rimanere in piedi dinanzi a qualsiasi calamità.

Peccato che l’uomo non sappia mai distinguere l’orribile dal fittizio, non è in grado di discernere fra questa sua voglia di circondarsi di certezze e quello che è il reale Assoluto: Questo è il ciclone e l’inferno che induce l’uomo a crearsi il proprio laboratorio in cui provare terrore, sperimentare vie di salvezza, ottenere certezze - vederle svanire e veder risorgere in lui la voglia di ricominciare, come una macchina già programmata. Un androide costituito da forze che smuovono il suo sistema nervoso e che gli conferiscono la più grande maledizione prometeica: la coscienza. Nell’Assoluto dell’uomo tutto ciò che va oltre le necessità strettamente organiche è illusione di poter essere qualcosa - e soprattutto qualcuno -, approssimazione dell’ignoto, scintille di martelli che battono sull’inconscio-incudine, energie che portano l’uomo all’esasperazione e alla catarsi…che mai avrà fine se non con la morte naturale.

Inoltre, non c’è alcuna purificazione, alcun lavaggio dall’imperfezione e trasgressione del profano - perché non c’è nulla da lavare, se non ciò che si ritiene sporco, e non già impuro; l’uomo-macchina raggiunge ogni volta un grado di intensità tale in cui il suo agire prende una forma e forza effettiva che, in tutti gli altri intermezzi, si rivela a noi in modi e sensazioni diversi e più estensivi. In altre parole, tutto il nostro agire è apparentemente volitivo, ed esso, in questi intermezzi di coscienziosità e volontà umana, si prepara nel tempo e nello spazio per ricomparire nuovamente in pompa magna ed esaurirsi di nuovo, senza però cessare d’esistere e di volere questo esaurimento.

Non si prenda tutto ciò per qualche filastrocca che vuol far vedere l’uomo come qualcuno di beato in questa condizione! Perché nemmeno in questo corpo macchinico è al sicuro e può prevedere cosa accadrà dopo. Lode a Mishima e a Majakovskij! 


Poiché questo è l’uomo-macchinico che, senza alcun sentiero predefinito e prefissato, raggiunge l’estasi dell’automatismo della coscienza, degli istinti e della loro potenzialità. Non esistono guide perché non esistono sentieri percorribili, se non quelli creati senza voglia dalla volontà generale dell’organismo e dagli impulsi consci/inconsci sollecitati da ciò che tutto smuove: il consumo. Ripetiamolo ancora una volta, come un rito sciamanico: produci consuma crepa. Un essere frammentato che, suo malgrado, si ostina a rimanere integro e che, persino quando ha coscienza della sua volubilità innata, non riesce a trovare quel suo centro di gravità permanente…a meno che esso non sia quel centro verso cui tutti i poeti, i pazzi e i profeti vagano: un centro che ha le sembianze d’un abisso in cui l’immersione stessa non si fa che sogno e incubo, in cui non si può far altro che (di)vagare fra ciò che (non)si vede e ciò che si sente e basta. In entrambi i casi, comunque, questo essere non può far altro che (ri)nascere ogni volta con uno stadio differente di febbre e di malattia, in questo processo oltre all’energetico consumo di forze, si aggiunge anche il loro ridosarsi tramite l’adrenalinico malanno di cui soffre l’agente: schizofrenia, narcisismo.


Potremmo quasi dire che la psichiatria e la neurologia vogliono spacciare per "degenerazione" stati mentali e fisici di cui ogni uomo si nutre e per cui si dimena.

Nel caso dell’”uomo del sogno”, il complesso strutturale rappresenta ciò che alimenta l’intero agire-della ragione, pertanto il Significato stesso di cui l’uomo e l’umanità si cibano è sempre e necessariamente una medicina che altera lo stato di malattia terminale in cui il malanno consumatore-generatore non si debella mai e non si affievolisce, ma viene o inibito o esasperato in modi e termini differenti. Ciò che sempre vale è l’essere nell’eterno sogno di Azathoth, dove non esiste possibilità di fuga perché non c’è alcun vero maleficio nel sognare entità come il Leviatano, il capitale, le morali, le religioni, le divinità, gli stessi stati in cui si crede di emanciparsi dal reale. Il punto è che una determinata realtà continua sempre a sussistere poiché gli uomini stessi cercano di resistere all’incubo naturale con l’immaginazione apollinea, e nel volersi liberare si confondono sempre più. L’agire per l’agire deve essere sempre posto sotto giustificazione - che proviene dal senso-astratto di ciò che si fa, qui dunque non si vive l’ignoto e il percorso in Thanatos tramite il solo e semplice sprigionamento nell’esaurimento, ma si rimanda e inibisce tutto il potenziale guastatore dell’organismo fino al raggiungimento continuo dell’abiura di quelle proprie creature le quali si impadroniscono di noi.

Osservando tutto ciò, ci si potrebbe chiedere: come può una coscienza cadere nelle mani di ciò che da essa stessa è generato? Come possono forze che primariamente creano essere poi inibite da stati e strati creati appositamente?

Da qui si può presumere che l’unitarietà e tutti i vincoli legiferatori dell’essere non possano sussistere nel mondo delle relazioni fra le cose sia nell’interno sia nell’esterno. Tutto ciò ha nei suoi scontri, contrasti, sublimazioni, finalità o modalità positive e negative - ma non c’è più alcuna sintesi, se non il divenire di qualcosa di più trascendente: la casualità e la continua rifondazione della Macchina, che crea categorie, impulsi intuitivi e letture razionali dei fenomeni, plasmando l’uomo a sua immagine e somiglianza.

Nell’Assoluto stesso, dunque, rientrano anche tutta quella serie stratificata e misterica di relazioni che autorganizzano la propria autodistruzione: in sé non sussiste un processo e una volontà di creazione, quanto invece l’impulso della ricerca e dell’uso intensivo del piacere e della forza; allo stesso tempo l’impulso della ricerca verso il  sublime, cioè uno stato di appagamento erotico della ragione e della razionalità stessa.

Pertanto, ricollegando i concetti di Assoluto, di Macchina e di uomo-macchinico, il quadro che esce fuori è il seguente: l’Assoluto è il reale in cui vivono e si scontrano-confrontano esseri e oggetti la cui realtà stessa è determinata dalle relazioni e dalle sintesi che avvengono fra di loro. Oltre a ciò, quella che potremmo definire come “essenza” di tutti questi attori è determinata dalle seguenti componenti:

1) l’inconscio passivo, ovvero la processualità dell’organismo proveniente dalla biologia e intima psicologia dello stesso;

2) l’inconscio attivo, e cioè gli istinti generali e particolari che si presentano con maggior immediatezza e che, per questo motivo, sono meglio intesi e processati dalla ragione;

3) la ragione passiva, tutti i meccanismi sovrastrutturali e artificiali sia individuali sia collettivi;

4) la ragione attiva, la sorgente del sogno e della forma, dunque di ciò che è astratto e sublime.


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Come la tripartizione dell’essere in spirito-animo-corpo, se l’Assoluto appartiene a ciò che è spirito, la Macchina può essere definita nel seguente modo: essa è il contenitore delle tendenze di un’epoca, di una civiltà, di una comunità. Oltre a essere solo un contenitore, la Macchina è anche uno strumento-senziente che acuisce le tendenze stesse fino a portarle alla catarsi - in cui poi comincerà un nuovo e differente ciclo di consumo. Un vettore particellare che, facendo interfacciare l’uomo col Nulla e l’Assoluto, porta poi il poveretto a tendere verso entrambi e a dissiparsi nell’intermezzo, fino a spezzarsi divenendo un’entità astratta dotata di forza primordiale e ferocia. 

Chiariamoci, non si tratta di un qualche principio metafisico il quale rimane invariato e prescinde dal contesto in cui esso agisce: anche la Macchina ha vita propria, e la possiede nelle determinazioni e nel non-detto di tutte le strutture e super-strutture dell’uomo: pertanto il macchinico è un prodotto perennemente rinnovato delle contingenze e che funge da “intermediario” fra l’esigenza del consumo mortale e la passionalità indistinta ed eccitante dell’uomo.


La Macchina, così, funge anche da autoinganno giustificatorio, ovvero quella serie di pretesti e conseguenti meccanismi psico-fisiologici utilizzati per fornire un senso a quell’impulso primordiale di soddisfare sia gli istinti bestiali e sia di raggiungere uno stato di beatitudine dell’essere; dunque rappresenta il recipiente e il ricettore di un sacro e profano che, di volta in volta, mutano nelle sfumature e costruzioni, nonché quindi anche nelle loro narrazioni e nel sentimento stesso che ci smuove verso di loro.

E da qui, infine, si giunge alla sua più perfetta e trasgressiva creazione: l’uomo-macchinico, ovvero l’essere umano così com’è, che si illude di essere un soggetto nell’esistenza e il cui solo motore è proprio il continuo e diveniente desiderare e oggettificarsi. L’uomo, così, pur possedendo una sua propria volontà e ragione, finisce per essere non già schiavo della Macchina, ma comunque un suo programma, una stringa di codici fra tanti. 

In conclusione, ora: con che tipo di futuro, di iperstizione vorremmo apparire nei prossimi decenni? 


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Qui non si vuole né elogiare né maledire nulla, poiché l’uomo stesso è puro atto e coscienza maledetta. Osservando ciò, forse bisogna solo dargli una spinta, farlo scivolare nell’abisso che già contempla, schiantandosi alla massima velocità, per incenerirlo e farlo risorgere come qualcosa proveniente già dall’oltre.

Più esplicitamente: l’umanità per l’uomo è solo una struttura da lui stesso creata per affrontare non solo la caducità dell’esistenza e la sua costante e primordiale paura - come già affermava Nietzsche -, ma anche per esser meglio controllato e inibito da quelle forze meccaniche e istintuali che lo fanno divenire. Dunque, liberandosi del suo sostrato fittizio di ragioni e sistemi, smascherandosi come corpo eccitato e mente desiderante, l’uomo potrà non già vivere meglio o più coscientemente - ma sarà proprio la sua gaia incoscienza e pura energia a farlo vivere. 

L’uomo, troppo piccolo per poter vivere in un universo troppo vasto, sempre più dilatato e che rimane costantemente in silenzio, viene assorbito dai sussurri di un presente e un tempo che gli promettono l’Identità, il non essere un semplice frammento vagante; dai sussurri di un oltre che gli promette l’eternità e la soddisfazione dei suoi impulsi, ebbene, finisce per cedere a questi canti e beat ripetitivi.

L’uomo, così, che si crede da sempre un organismo unitario e in grado di comprendere il mondo, finisce solo per guardare la sua ombra, avere paura e disgustare di essa - al contempo brama di ingigantirla e renderla più profonda.

Ma questo è già stato predetto, organizzato, e l’uomo così non ha più scampo: o diventare schizofrenico nella Macchina, o smettere di esistere.

A lui ora l’implosione.



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