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Creepy Mickey Mouse

«Lo trovo un lavoro davvero flat. Il cliente si aspetta una strategy disruptive, questa non lo è. Sistemala, mi serve per domani.»


Ero già in apnea.

Credevo di essere dentro, invece ero fuori. Fuori, fuori nello spazio, lassù.

Bastava solo stringere i pugni e rompere tutto.


Creepy Mickey Mouse


La saletta riunioni d’angolo è un acquario senza pesci: vetri puliti male, pareti rosa pancia di porcellino, un odore di toner fritto che si appiccica addosso.


Gianluca fa avanti-indietro con il suo mocassino di pelle vegetale — alla fine sono pure più fighe — picchietta sulla scrivania IKEA e dondola la statuetta del topo mentre parla, quella sottospecie di creepy Mickey Mouse partorito da un qualche designer fighetto americano che di solito tiene sull’ultimo piano della libreria Pallucco come un idolo sacro — che bbbbbomba, me l’ha venduto a poco e un cazzo un tizio su Subito, pensava fosse un giocattolo.


Io annuisco, annoto, nascondo sotto il palmo della mano il tremore di una vena sulla tempia. Sono dieci giorni che dormo a scatti: ping a mezzanotte, meeting alle 8. Quando chiudo gli occhi sogno di essere ghigliottinata da una scheda di Trello, slide con bullet point tutti rossi — gocce di sangue che colano dalle mie unghie spezzate a furia di pigiare Command+Z.


Ho la mandibola irrigidita dal bruxismo, il collo in fiamme, due afte — Mila e Shiro — che fanno un rave nelle mie gengive a furia di tutto il caffè misto a Red Bull che mi calo. Lui continua: brand essence, purpose, omnichannel e altre parole che un tempo mi sembravano preghiere dolcissime ma che ora suonano come bestemmie. Magari lo fossero.


Io penso soltanto a come sarebbe far saltare quel cranio ben pettinato con qualcosa di pesante. Cosa si prova, ad ammazzare una nemesi? È il trigger per un’estasi apotropaica o il biglietto di sola andata per un gran cazzo di casino? Entrambi? Ma è un pensiero che rimane impigliato lì, nel retro del cervello, nei miei desideri bagnati più eccitanti, finché non mi ritrovo il topastro per le mani. Gianluca me lo porge, ridacchiando.


«Tattile, vero? È quasi un antistress. Dagli una beeeella palpata.»


Lo stringo, ne sento il peso. Qualcosa fa una capriola nel mio stomaco. Fine riunione, lui mi concede una pacca sulla spalla — «You got this» — e punta il cesso per svuotare la vescica da almeno uno dei tre smoothie proteici che si è sparato. Io resto ferma immobile, seduta, con il creepy Mickey Mouse in grembo.


Respiro. Mi godo quei cinque minuti che posso trascorrere senza di lui. Uno schizzo di paradiso che separa l’inferno delle giornate in ufficio dal doppio inferno delle serate passate a schiena storta davanti a Keynote.


Uno schizzo di paradiso che cola dagli schizzi di piscio del mio capo.

Quando rientra, è già pronto a parlare di nuovo. Ha la bocca aperta e gli occhietti stretti.


«E, cazzo, cambia palette, per la prese. È una bella merda ora. Rischiamo di farli vomitare.»

Lì, la vena sul mio collo scoppia.


Splat.


Lo schianto della statuetta a forma di topo contro il cranio di Gianluca produce un suono umido e sorprendentemente duro al tempo stesso. Altro che antistress, l’avevo capito.


Sembra morbido, sì, tipo uno di quei pupazzetti plasticosi che ti rifilano come gadget insieme ai fustini di detersivo. La larga porzione di pelle che salta via dalla tempia del mio capo, accompagnata da un generoso schizzo di sangue denso e scuro, dice tutto il contrario.


«Che cazz—»


Gianluca strabuzza gli occhi e crolla sul fianco. Si accascia sulla scrivania per un attimo e poi scivola per terra.


Creepy Mickey Mouse

«Questo sì che è disruptive.» Mi rigiro il brutto Mickey Mouse punk di design tra le mani mentre Gianluca geme e si rotola sulla schiena, come uno scarafaggio ribaltato.


Gocce di sangue colano sul verde-giallo fluo del pupazzo. Non saprei dire se quel mix di colori sia un pugno nell’occhio o un accostamento azzeccato.


In fondo, Gianluca non mi ha affibbiato il nomignolo Gusto di Merda per nulla, no? Meno male che sei qui per fare altro, dice sempre, se ti occupassi di grafica sarebbe un disastro. Sicura di non essere daltonica? Fai una visitina. Faccio spallucce: non sono una che molla i progetti a metà, ora sono nel flow. Mi chino sul corpo agonizzante, mi metto a cavalcioni su di lui e gli assesto un altro colpo in piena fronte.


Splat.


Questa volta la pelle non salta; si affossa su se stessa, creando una piccola conca tra un sopracciglio e l’altro. Lo scricchiolio croccante della frattura fa il paio con un gemito strozzato.


«Ho pensato che un approccio hands-on potesse funzionare,» faccio un bel respiro e calo di nuovo il topastro di design, affondando una delle orecchie nell’altra tempia di Gianluca. «Sai, mani in pasta, per noi che stiamo sempre davanti al computer è un toccasana sporcarsi un po’, un ritorno alla real life.»


Creepy Mickey Mouse

Gianluca mi risponde con un gorgoglio bollicinoso di saliva mista a sangue e muco. Boccheggia e prova a sibilare qualcosa, ma non esce nulla di sensato dalle sue labbra, solo altre bollicine.


«Lo dici sempre anche tu, no? Non siamo come quei pipponi milanesi che se ne stanno chiusi in ufficio all day long, qui siamo tutti amici, siamo innovativi, ci divertiamo al lavoro, siamo sexy cool.»


Un altro affondo. Manco il bersaglio e il colpo gli fa saltare via mezzo occhio destro. Una parte del bulbo smargina dall’orbita con un suono che mi ricorda le uova sbattute.

«Ops.»

Ci riprovo: faccio centro ed è in quel momento che vedo la vita scivolare via dai muscoli della sua faccia troppo rotonda per lasciare spazio a un nulla flaccido e molliccio.

Morto. Gianluca è morto.

Game over.

Mi guardo attorno, ancora a cavalcioni sulla sua pancia coperta dalla polo SUN68 viola che lui trova — trovava? Sì, trovava. Bye bye Gianlu — tanto divertente. È proprio il brand degli imprenditori lumezzanesi che stampano piombini, la metto con ironia eh. La Pallucco è stracolma di tutti gli oggetti che Gianluca ama — amava — accumulare in ogni angolo dell’ufficio su cui può — poteva — avanzare pretese di dominio.


Il suo modo di pisciare ovunque quell’insostenibile desiderio di essere un ceo giovanile e diverso da tutto e tutti. Mi alzo e mi avvicino per osservarli meglio, con il topastro ancora stretto tra le mani. Il sangue di Gianlu cola sul gres nero e lascia una scia tipo bava di lumacone.


Lo trovo quasi poetico, questo collegamento vivo e organico tra lui e i suoi oggettini. Devo tenerlo a mente, potrebbe tornarmi utile per una prossima idea di guerrilla marketing. Un Millennium Falcon di Lego grande quanto un grasso Beagle. Una serie di spigolosi diti medi di cera della Candle Hand. Un umarell rosso di Superstuff. Un cofanetto di tutte le stagioni di Lost, di almeno due chili.


I miei bambini, dice — diceva — lui.

Armi, penso io.

Oggetti dotati di molte parti appuntite e contundenti.

Design al servizio della vendetta.


Esco dall’acquario senza pesci e vado in bagno. Nell’aria striscia ancora la puzza della pisciata di Gianluca, quell’odore inconfondibile di urina mista a latte e mirtilli. Provo a lavarmi le mani: il sapone neutro combatte male l’aroma del sangue ma almeno toglie le macchie più grosse e visibili.


Sotto il neon tremolante ritocco il rossetto e sistemo la frangetta. Guardo il mio riflesso: non mi sono mai vista così bella.

Rientro nella stanza, mi piego sul Mac chiazzato di sangue e inizio a chiudere i triliardi di tab di lavoro aperte

Ci-ci-cik.

Ci-ci-cik.

Ci-ci-cik.

Il mio portatile esplode in una sassaiola di notifiche di Slack e io scatto in piedi, come se il mio corpo dovesse rispondere a un riflesso pavloviano. Lascio andare il creepy Mickey Mouse e questo atterra con un tonfo sul naso a patata di Gianluca.

Mi avvicino alla scrivania, mi chino sullo schermo e cerco l’app: tre notifiche, tre nuovi messaggi indirizzati a me. Le mie dita ricoperte di sangue si muovono scivolose sul trackpad mentre scorro tra le varie chat e canali.

Eccolo lì, Fabio. L’altro capo.

L’altro ceo sexy cool.

Mi ha taggata nel canale gestione-spazi.

>@martinamel Raga, vi ricordo che oggi ci sono clienti in ufficio.

>@martinamel Meno casino, please.

>@martinamel Vi si sente fino a qui, non è carino. Dopo ne parliamo.

Digito la mia risposta e premo invio.

>@fabBoss Sorry, abbiamo finito. Anzi, vi raggiungo. 

Il mio sguardo torna subito sul grosso e pesante e appuntito Millennium Falcon.


Creepy Mickey Mouse

Creepy Mickey Mouse - L'Idiot

1 commento


Inizi a leggere i tuoi racconti e vorresti che non finissero mai. Scavi nelle emozioni più nascoste. Grazie

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