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Maledetti insetti

Maledetti insetti
Martin Parr. Italia, Sirmione, 1999.

La flebile luce proveniente dagli scuri chiusi della camera annunciò a Fabio che la giornata non sarebbe stata soleggiata come sperava. Era arrivato la sera precedente, esausto, dopo una maledetta riunione di lavoro che lo aveva costretto a partire alle diciotto, anziché alle dodici e trenta, come aveva preventivato. Solitamente, in mancanza di traffico, dalla città si poteva raggiungere la sua casa al mare in un’ora e mezza. Tuttavia, complice uno stupido camion e la strada disseminata di cantieri, Fabio aveva ritardato di ben trenta minuti. Era arrivato dunque alle venti e, esausto e con i negozi ormai chiusi, si era recato alla solita pizzeria lì vicino, dove aveva consumato la solita pizza cotto e funghi. Dopo aver pagato ed essere uscito, per un attimo aveva avuto la tentazione di consolarsi con l’ottimo cono panna e cioccolato della sua gelateria preferita ma, dissuaso da un fastidioso cerchio alla testa, era tornato subito a casa.

Il sonno fu burrascoso; andarsene a letto senza aver digerito lo aveva condannato a una sudata tale da costringerlo, il giorno dopo, a cambiare le lenzuola. Complice di quella calura era stato anche, Fabio lo sapeva bene, il condizionatore guasto. Gli ultimi inquilini a cui aveva affittato la casa per il ponte del Venticinque Aprile erano gli sfortunati genitori di un pestifero Damien (cos’altro poteva essere quel bambino, se non un Anticristo) di quattro anni, che aveva trovato divertente tirare pallonate a destra e a manca dentro casa. Mentre era intento a lanciargli un nugolo di maledizioni, un lampo gli attraversò la mente: È colpa mia, non prendiamoci per il culo. Era stato lui infatti che aveva tergiversato, nel tentativo di fregarli. Voleva chiedere un preventivo per la riparazione e poi, una volta saputa la cifra, chiedere ai malcapitati genitori un prezzo maggiorato. Al momento gli era sembrata un’idea geniale: tassarli inconsapevolmente per aver cresciuto un tale coglione. Il piano, tuttavia, gli si era ritorto contro allorquando la ditta di idraulici si era dimenticata di presentare il preventivo richiesto. Finalmente, ecco un altro colpevole da additare. Si alzò pimpante, danzando al suono degli improperi lanciati contro i poveri idraulici, e spalancò le imposte deciso a combattere l’aria viziata della camera da letto. Certo, avrei potuto tenerle aperte. Che diamine, un altro errore madornale commesso e nessun colpevole oltre alla figura allo specchio. In realtà, Fabio aveva la risposta pronta: il bar accanto alla casa. Ricordava nitidamente di essersi addormentato cullato dal suono ovattato del blaterare degli avventori del locale. Con la finestra aperta, non sarebbe mai riuscito a prendere sonno.


Maledetti insetti

Una volta messa fuori la testa, si rese subito conto che il desiderio di essere accolto da una limpida giornata estiva, ideale per una rilassante sessione di mare e spiaggia, non era stato esaudito. Il cielo era carico di nuvole, anche se non plumbeo; non erano nuvole cariche di pioggia, ma abbastanza dense da non permettere al sole di fare capolino. Poco male, pensò. Leggenda vuole che ci si abbronzi comunque anche col cielo nuvoloso. Durante la colazione si alzò un forte vento. Fabio si recò alla spiaggia al ritmo del tintinnio degli alberi delle barche del porto, mossi da quella brezza implacabile. Il vento, tuttavia, non lo infastidì, anzi, lo aveva sempre trovato un refrigerio al calore sprigionato dalla sabbia bollente. Probabilmente gli avrebbe impedito di fare il bagno, ma, essendo solo la seconda settimana di giugno, non gli sarebbe poi spiaciuto così tanto. Nonostante fossero appena le nove, Fabio trovò la spiaggia affollata. Non avrebbe potuto accomodarsi con la sua sedia dove più amava, ovvero vicinissimo al bagnasciuga, dove adorava essere cullato dal suono delle onde durante la lettura dei suoi amati libri. C’era ancora un po’ di spazio vicino al mare, ma era occupato dai suoi più mortali nemici: famiglie con bambini piccoli, coppie con cani, gruppetti di giovani ragazzi convinti di non infastidire nessuno correndo dietro a un pallone. Non avrebbe permesso a quell’esercito di disturbatori di guastare la sua pace. Si posizionò a metà, lontano da tutti e, cullato dal vento che lo teneva in salvo dal caldo, si apprestò a godersi il suo attimo di serenità. Il mare era talmente rumoroso da permettere al suono delle onde di arrivare fin lassù e, non di meno, da coprire gli starnazzi di quella esecrabile marmaglia. Che goduria.

La pace, purtroppo, durò ben poco. Dopo nemmeno un’ora un gruppo di ragazzini, dapprima intento a giocare in riva al mare, si spostò verso di lui. Probabilmente erano stati sgridati per gli schizzi di acqua e sabbia che stavano sollevando in quella bolgia infernale che loro chiamano “gioco” e, invece di stabilirsi in un luogo più isolato, avevano scientemente optato per andare a rompere l’anima a un altro povero innocente. Fabio, colpito già da due pallonate, si alzò e intimò loro di recarsi più lontano. Non lo calcolarono di striscio. Davvero un uomo aitante e scorbutico come lui incuteva molto meno timore di un gruppo di madri flaccide e frustrate? Non gli rimase altro da fare se non mollare il colpo e avvicinarsi all’acqua, nella speranza che il gorgoglio del mare coprisse eventuali urla e latrati.


Maledetti insetti
Belgium. Knokke. 2001 © Martin Parr / Magnum Photos

Ed eccolo là, seduto sulla riva a leggere. Se avesse indossato una maglia rossa avrebbe potuto benissimo avere le fattezze del peggior bagnino del mondo, tanta era la concentrazione sul libro e la totale indifferenza verso ciò che gli accadeva intorno. Ci furono dei tentavi di distrarlo, non pochi a dire la verità: per cominciare, un cagnolino fradicio venne a scrollarsi davanti a lui, bagnando sia il suo costume che il libro. La mascella di Fabio si contrasse e la sua mente vagò per un attimo in realtà oscure, tutte irrimediabilmente fatali per l’animaletto. Tuttavia, la trama del romanzo, per fortuna di quel bastardino, era troppo avvincente, talmente avvincente da impedire anche alle urla e agli schizzi di un bambino intento nella costruzione di un castello di sabbia dalla dubbia integrità strutturale di distrarlo. Era quasi l’ora di rientrare per il pranzo quando accadde il peggio. Il vento, così come era arrivato, se ne andò. Il mare si acquietò e la sua calma piatta alzò inevitabilmente quella intollerabile marea di schiamazzi. In aggiunta, una asfissiante cappa di umidità calò su tutta la spiaggia. Il caldo soffocante, sebbene fosse riuscito senza sforzo ad abbassare la concentrazione di Fabio, non aveva apparentemente attenuato l’insopportabile entusiasmo di tutto il resto dei presenti. La fine del libro era così vicina…Resisti, è questione di poco, poi potrai fuggire a casa, pensò Fabio, in preda a un’ira disperata, quando arrivarono loro. Loro, gli avversari più temuti: Gli insetti. Maledetti insetti. Fabio in cuor suo lo sapeva, sapeva che quel momento sarebbe arrivato, non appena il vento si fosse calmato. Quelle fastidiosissime creature, nella calma piatta che gli permetteva di svolazzare intorno alle loro prede, potevano rendere una giornata di mare un vero e proprio inferno. I suoi pensieri, colmi di ira, corsero subito a quell’odioso maestrale che se ne era andato un attimo prima che gli fosse permesso di terminare il romanzo. Al massimo tra dieci minuti, sarebbe potuto scappare da quella tortura, con in testa il finale della storia su cui riflettere. A quel punto si sarebbe potuta scatenare anche la piaga delle locuste su quella spiaggia, per quel che gli importava. Invece eccolo lì, bloccato a un passo dal successo. La mascella era talmente contratta da fargli male e la rabbia gli aveva tinto la pelle della faccia come una giornata di sole intenso non avrebbe potuto fare. Voleva alzarsi e prendere a calci l’aria per averlo così vigliaccamente pugnalato alle spalle. Purtroppo, proprio in quel momento era passato di nuovo davanti a lui il cagnolino di prima. Alzarsi in piedi e colpirlo con un calcio fu un attimo. I guaiti dell’animale, anziché farlo tornare in sé, lo fomentarono ancora di più. Con uno scatto repentino Fabio afferrò la sedia e, dopo averla ripiegata, la fracassò sulla testa del padre di quell’odioso bambino. Il ricordo della bruttezza del castello di sabbia costruito poco prima, che non aveva avuto altro fine se non quello di disturbargli la lettura, lo faceva impazzire. Dopo aver tramortito il padre afferrò per il collo il ragazzino, che aveva assistito alla scena sconvolto, e lo gettò a terra. Poi, preso il secchiello, appesantito dalla sabbia bagnata con cui era stato di nuovo riempito, lo colpì fino a fracassargli la testa. A nulla era servito l’intervento disperato della madre, che con le sue urla ed i suoi strattoni non aveva fatto altro che accelerare il trapasso del figlio. La vista della sabbia, imbrunita dal sangue e mischiata al cervello spappolato, fece fremere Fabio di piacere. Nella sua mente aveva riso, mentre nelle orecchie della folla attonita era risuonato l’urlo di un folle. Prendendolo per una gamba, fece roteare il corpicino inerme a una velocità tale che gli astanti furono investiti da fiotti di sangue e materia cerebrale. Un paio di loro vomitarono e due signore persero i sensi. Raggiunto il giusto slancio scagliò il cadavere lontanissimo nel mare. Poi, con l’entusiasmo di un teatrante consapevole dell’arrivo del gran finale, si lanciò verso il gruppetto di ragazzini che lo avevano costretto a spostarsi.

Nel marasma, gli insetti non avevano cessato la loro caccia. Il corpo di Fabio era pieno di puntini rossi. Il sudore sgorgato durante il macabro spettacolo, aveva fatto sì che molti degli insetti fossero morti affogati sulla sua pelle. Ad ogni modo, il prurito era l’ultimo dei suoi problemi. Una volta fatta giustizia si sarebbe tuffato in mare e l’acqua salata gli avrebbe dato refrigerio. Per sua fortuna, il capannello formatosi attorno a lui aveva impedito al gruppo di giovani di vedere quello che stava accadendo sul bagnasciuga. Tutto ciò che si trovarono innanzi agli occhi, fu un pazzo tutto rosso in viso che correva nella loro direzione. Il momento in cui uno di essi, il più vicino a Fabio in linea d’aria, si rese conto che il volto e il costume erano macchiati di qualcos’altro oltre alla sabbia, era già troppo tardi. Fabio gli piombò addosso come una pantera e si mise a cavalcioni su di lui, bloccandogli le braccia con le mani. Lo colpì con una testata, poi una seconda, infine una terza, fino a che non percepì il naso del ragazzo andare in frantumi. Allora Fabio, tolte le mani dalle braccia, le alzò e con forza calò i pollici dentro le orbite della sua vittima, li girò un paio di volte, con la grazia di un pizzaiolo che stende la pasta per la pizza e li estrasse, sporchi di una poltiglia di sangue e occhio. Sorridendo alle urla disperate del ragazzo, si premurò di raccogliere una manciata di sabbia e riempì con essa le orbite ormai vuote. Infine, come se quell’ultimo atto di perfidia avesse del tutto dissipato la sua follia, si alzò e tornò come niente fosse verso la riva, accompagnato dallo sguardo inorridito dei presenti. Raccolse da terra il suo libro e, sedutosi a terra incrociando le gambe, riprese la lettura. Alcune parole si erano insozzate per via delle mani impiastricciate di sabbia e sangue; tuttavia, Fabio, con la lucidità ormai perfettamente riacquistata, poteva capire senza sforzo il senso delle frasi. Erano passati alcuni minuti, infiniti, quando Fabio, sbattendo irritato il libro a terra, ormai a dieci pagine dalla fine, rivolse il suo udito agli echi delle sirene di ambulanza e polizia provenienti dalla strada.


Maledetti insetti

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