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LA LEGA ANTIALCOLICA

La lega antialcolica
La lega antialcolica

Confesso che da qualche tempo cominciai a sentire cose che nessuno aveva mai visto né sentito. Il giorno era confuso dai troppi impegni, la testa scoppiava e camminavo senza guardare. Vidi un bistrot con le tende rosse, scolorite dal sole, così entrai e ordinai da mangiare.


La bistecca era buona, l’insalata no: dentro c’era una lumaca viva, muoveva ancora le antenne, e chiamai il cameriere.

«Guardi qua.»

Lui osservò.

«Terribile, signore. Beva quello che vuole, offre la casa.»

Annuii e non dissi nulla, ma pensai: ora mi ubriaco. E così feci: un bicchiere, due, tre, quattro. La testa era leggera e gli appuntamenti spariti.


Alle quattro barcollavo in Place de la Concorde: due gendarmi mi fermarono.

«Documenti.»

«Oui, monsieur, pas des problems. J’ai mangé un escargot sans maison.»

Si scambiarono uno sguardo complice e mi spinsero dentro l’auto. Mi accompagnarono in una cella puzzolente, quella che viene chiamata in gergo “celletta”.


Alle sei e quarantacinque arrivò Mike per liberarmi. Parlò poco, pagò la multa e uscimmo. Camminammo in silenzio fino a una brasserie dove avremmo cenato: Le Caporal, in rue de Rivoli. Tovaglie a quadri, tavoli stretti e odore di bourguignon nell’aria. Ordinammo carne e vino. Io fumavo e lui mi fissava.


«Cos’è successo, Jay?»

«Una lumaca nell’insalata, era viva! Incredibile.»

«E allora ti sei ubriacato.»

«Sì, mi hanno offerto da bere per scusarsi.»

«Non potevi non bere? O buttare l’insalata? O farti offrire il pranzo?»

«Certo che potevo.»

«Non potevi alzarti e andartene?»

«Potevo anche questo.»

«Ma no, tu ti fai arrestare.»

«Bravissimo.»


Bevemmo il vino forte. Lui mi guardava con rabbia, capiva che un po’ lo prendevo in giro.

«Sei ridicolo» mi disse.

«Forse.»

«Non forse, lo sei. Io lascio il lavoro e vengo a tirarti fuori, e tu mi ridi in faccia.»

«Non ti ho chiesto di venire.»

«E allora la prossima volta resti dentro.»

«Fai come vuoi.»

«Non capisci un cazzo, Jay.»

«Capisco che la lumaca era viva e che mi hanno offerto da bere.»

«No Jay, tu non capisci proprio un cazzo.»

«Grazie Mike, menomale che esisti tu, che ci spieghi come vivere.» dissi con tono sarcastico.

Lui sbatté il pugno sul tavolo e i bicchieri vibrarono, con la gente che si girò verso di noi.


«Questo non te lo permetto! Sei solo un bambino!»

«Meglio un bambino che un mulo.»

Ci guardammo negli occhi: lui serrava la mascella, io sorridevo leggermente.

«Vaffanculo, Jay.»

Si alzò, lasciò i soldi sul tavolo e uscì senza girarsi.


Io rimasi lì, bevetti ancora, mentre la sala si svuotava rimanevo solo e il vino cominciava a pesare, ero stanco.

La mattina dopo mi presentai in gioielleria da Mike, che era dietro al bancone che spolverava un vassoio di orologi. Mi guardò appena.


«Sei venuto a fare casino?» disse.

«Sono venuto a dirtelo chiaro.»

«Cosa?»

«Se quella lumaca l’avessi trovata tu nell’insalata, avresti fatto lo stesso, cane!»

Lui mi fissò.

«Il problema non è la lumaca, Jay.»

«Certo che lo è.»

«No, il problema è che ti sei fatto arrestare e che tocca sempre a un amico tirarti fuori. Non puoi continuare a farti salvare dagli altri.»

«Non mi hai salvato, hai solo pagato una multa.»

«Io ho messo la faccia davanti a due gendarmi per te, e tu intanto bevevi.»


Tacqui. Lui abbassò lo sguardo sul banco, poi parlò piano ma deciso.


«Non è la lumaca, Jay, è il tuo modo di scappare da tutto. Ti nascondi dietro al vino, dietro agli scherzi, ma non funziona più.»

«Non puoi capirmi. Tu ti chiudi qui dentro, a lucidare oro e pietre, io almeno vivo.»

«Vivere non è ubriacarsi fino a farsi portare via in manette.»

«Meglio quello che marcire sotto queste luci.»

Ci fissammo. Lui era teso, io tremavo.

«Non ti tirerò più fuori, Jay. La prossima volta resti dentro.»

«Allora spero ci sia una prossima volta.»

Mi voltai e uscii.


Quella sera tornai a bere al Piccolò Café: luci basse, atmosfera elegante, della Parigi chic. Seduto con il bicchiere davanti a me bevevo e pensavo.


Mike non era solo un gioielliere! Mike faceva parte della Lega Antialcolica americana, ne ero certo. Sì, è vero, non avevo ancora le prove, ma lui si fingeva mio amico e lavorava per togliermi il vino, per proibirlo forse in tutta la Francia. Quel pazzo mi spiava, voleva sapere tutto: quanto avevo bevuto, quanto avevo fumato, quanto avevo lavorato, con chi ero stato. Queste domande mi avevano da sempre insospettito: era il proibizionismo che parlava attraverso di lui.

Sorrisi al bicchiere e bevvi ancora.


Bevvi fino a non sentire più la lingua, ma ormai avevo le idee chiare: quell’uomo lavorava per la Lega Antialcolica americana. Così pagai il conto con banconote per rendermi irrintracciabile, perché molto probabilmente controllavano anche il mio conto bancario, e uscii. La notte mi prese alla gola, camminai storto su strade bagnate, non sentivo freddo.


Andai alla gioielleria. Le luci erano spente ma sapevo che Mike era dentro e bussai forte alla porta.

«Sempre a lucidare oro, esci fuori, bastardo! Ti ho beccato!»

E poi ancora: «Apri, Mike! So chi sei!»

Eccolo. Sentii un rumore dentro, la luce si accese e la serratura scattò.

Mike comparve sulla soglia, in camicia, con la faccia tirata.

«Sei ubriaco.»

«Apri bene le orecchie, io so tutto.»

«Cosa sai?»

«Che cosa pensi? Forse pensi che io sia un idiota. Tu non sei un gioielliere, non lo sei mai stato.»


«E allora cosa sarei?»

«Un cane della Lega Antialcolica, un emissario. Ti mandano dall’America per controllarmi.»

Lui sbuffò.

«Tu sei completamente pazzo, vai a dormire, Jay.»

«No. Tu mi hai seguito, mi hai fatto arrestare, mi hai incastrato. Sei stato tu a mettere la lumaca nell’insalata, l’hai messa tu, cane!»

«Cristo santo, sei fuori.»

«Sei tu che sei fuori, Mike, stammi a sentire, ogni parola che dici sa di slogan, ogni tuo sguardo è un rapporto scritto per i tuoi padroni. Tu non lucidi oro, tu lucidi le catene a servizio della Lega Antialcolica.»

Lui serrò la mascella.

«Finiscila.»


«No, finirai tu. Ti toglieranno la copertura quando avranno finito con me: per ora sei solo una spia, la loro sentinella, l’occhio del proibizionismo a Parigi. Ti sembra bello?»

Restammo immobili, lui con la mano sulla porta, io che barcollavo e ridevo piano.

«Torna a casa, Jay, per favore.»

«Questa è casa mia: le strade, i bistrot, i bicchieri. Ma tu vuoi togliermela.»

«Io non voglio toglierti niente.»

«Tu vuoi togliere a me l’alcol e forse a tutta la Francia: è la stessa cosa.»

Mike scosse il capo e chiuse la porta senza un’altra parola.


Rimasi lì davanti qualche secondo, poi risi ancora: la Lega aveva paura di me. Fu per questo che Mike non aveva negato troppo e anche per questo era nervoso.


Uscii nella notte. Le strade bagnate brillavano come specchi storti e camminavo in fretta e furia sotto il cielo nero, quando un lampione si accese di colpo. Sotto, tre uomini in cappotto scuro che mi fissavano. Li riconobbi subito: la Lega.

«Fermati, Jay.»

La voce era secca, come carta che si strappa.

Mi voltai di scatto e corsi via.


Ogni angolo ne aveva altri: uomini alti, giacche nere, sassi dentro le tasche, alcuni portavano cappelli decisamente troppo larghi. Tutti mi guardavano, nessuno parlava.

In fondo alla strada una donna con la faccia di una faina mi sbarrò il passo. Vestiva elegante, guanti bianchi,e alla fine mi sorrise.


«Vieni con noi, Jay. È per il tuo bene.»

Urlai, la spinsi contro il cassonetto e scappai di lato, nei vicoli.


Caddi su un selciato bagnato e mentre mi alzavo con le mani sporche, dietro di me passi rapidi, sicuri, che sapevano cosa fare, che mi stavano per prendere.


Non erano echi: erano loro! La Lega Antialcolica mi stava attaccando con tutte le sue forze.              

Li vedevo, loro e le loro ombre allungate contro i muri, le giacche che si aprivano, i distintivi che brillavano sotto i lampioni.


Uno tese la mano.

«Dacci il bicchiere, Jay. È tutto ciò che vogliamo.»

Aveva la mia bottiglia e me la puntava come un’arma.

«Porco, è mia!» urlai. «Non me la prenderete!»

Ripresi a correre con i polmoni in fiamme.

Davanti a me altri uomini, questa volta una fila intera, silenziosi, fermi, pronti a combattermi. Sembravano statue, eppure respiravano e mi stavano aspettando.


Creai un varco lanciandomi contro due che sembravano i più esili, sfondai le linee e ripresi la mia corsa a perdifiato contro il male.

Le voci arrivavano da ogni parte.


«Lascia andare il vino.»

«Arrenditi, Jay.»

«Sarai libero.»

Mi buttai dentro a un portone socchiuso e scesi delle scale che puzzavano d’umido, scendevo a salti, almeno tre gradini a falcata. I passi dietro di me erano sempre più vicini: la Lega scendeva con me, fino all’inferno se necessario.


Arrivai in fondo, ma non c’era via di fuga, era cieca.


Mi accovacciai contro un muro, nascosto, trattenevo il fiato ormai corto. Sentivo il loro respiro, il passo sui mattoni bagnati, il rintocco dei bicchieri che non c’erano.

Sempre Mike, sempre la Lega, sempre io da solo a scappare, a correre, a perdere ogni distinzione tra strada e ombra, tra sogno e realtà. Il mondo era diventato loro e io ero diventato loro.


Due giorni dopo

Quando mi svegliai due giorni dopo ero dimagrito.


Era da un po’ di tempo che con Carla non riuscivo più a fare l’amore, e non mi era mai successo. Noi due eravamo sempre stati fuoco e benzina, e invece ora niente: io vigile come un gendarme, lei che provava carezze, baci, preghiere. Niente.


Il medico mi attaccò degli elettrodi sulla testa e sui piedi; sembrava dovessimo resuscitare un morto. Ogni giorno mi faceva bere un bicchiere di sangue di vitello crudo: diceva che avrebbe dato forza al cuore, a me sembrava solo uno schifo! Realizzai più tardi che lavorasse per la Lega anche lui.


Carla, che era cattolica fino al midollo, un giorno mi disse che era arrivato il momento di provare con la chiesa. Così, in tarda mattinata, entrai in una cappella minuscola, due isolati da casa: una chiesa che puzzava di cera vecchia e umidità. Non c’era quasi nessuno, solo un vecchio inginocchiato e un prete che sembrava addormentato.


Pregai, così, senza sapere cosa dire, giusto qualche parola inventata.

Il prete mi sorrise e mi disse:

«Figliolo, non serve parlare, serve credere.»

Io annuii, ma dentro pensavo: Sì, credere che la Lega abbia paura dei crocifissi.


Tornai a casa e la Vergine aveva esaudito le mie preghiere: con Carla facemmo l’amore come fosse la prima volta, un turbine che non finiva più. Io che ridevo, lei che piangeva, e in mezzo sentivo il rumore di campane che suonavano a festa. il sabato del villaggio.

In quel momento capii che avevo trovato la mia arma definitiva: non il vino, non la fuga, non gli insulti ai gendarmi, ma la fede. O almeno la parodia della fede.

E così diventai cattolico.


Sì, cattolico davvero, ma a modo mio: perché bastò inginocchiarmi due minuti in una cappella mezza vuota per dissolvere l’intera Lega Antialcolica americana.

Era fatta: la Lega sconfitta dal Cristo.



Quella sera stessa andai al bistrot per festeggiare. Ordinai una bottiglia intera, la bevvi tutta da solo e nessuno venne ad arrestarmi. I gendarmi passavano davanti alle tende rosse e non mi guardavano più. I cappotti scuri svaniti, la donna con la faccia di lince mai più vista.

Io e il vino, soli contro il mondo, protetti dall’incenso e dalle campane.


E nella notte, quando il sonno mi prese, ubriaco ma sereno, lo vidi: Gesù in persona, seduto al mio tavolo con un bicchiere in mano e una sigaretta accesa tra le dita. Tirava boccate lente, guardava il soffitto e mi disse:

«Jay, rilassati. Se quelli della Lega tornano, ci penso io.»



E infatti arrivarono: tre uomini in cappotto scuro, con lo sguardo di pietra, uno dei quali mostrava di nuovo il distintivo. Ma questa volta non parlai io: parlò Gesù.

Si alzò, soffiò il fumo dritto in faccia al primo e gli disse:

«Il vino è mio da duemila anni. Toccatelo e finirete all’inferno, senza passare dal via.»

Quelli provarono a replicare, ma lui li zittì con una risata che fece tremare i bicchieri sul tavolo.

«Avete paura di una bottiglia?» domandò. «Io ci ho fatto un sacramento, e voi venite qui a dire che è proibito? Buffoni.»

Uno della Lega tentò di afferrarmi per il braccio, ma Gesù gli diede un buffetto sulla fronte e quello cadde come un manichino. Gli altri indietreggiarono, sibilando ordini incomprensibili, e se ne andarono.


Gesù spense la sigaretta nel mio posacenere, mi versò un altro bicchiere e disse:

«Bevi, fratello. Questo è il mio corpo, ma anche la tua libertà.»


Io bevvi, e quella notte capii che la mia alleanza era sigillata. Non ero più solo: ero cattolico, sì, ma cattolico da guerra, con un Cristo che fuma, beve e manda a fanculo la Lega per difendermi.


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