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IL SOGNO DELLA RAGIONE CREA MOSTRI, IL SOGNO DELLA NOIA CREA DIPENDENTI.

Aggiornamento: 4 apr

Era un triste giovedì sera in una Bruxelles macchiata di freddo e coprifuoco, una di quelle tipiche giornate di febbraio in cui l’aria secca e ventosa lascia solo lo spazio per pensieri al meglio malinconici. Ero nuovamente gravato da una lunga storia di un amore solo immaginato, rimasto latente dal primo incontro. Avevo bisogno di freddo, per risentire il gusto del caldo. Da troppo tempo sentivo solo mite.

Meno male che quella sera arrivò una chiamata, erano gli amici del

Lussemburgo F e K che mi stavano invitando ad andare a cena a casa della

fidanzata di quest’ultimo. Un curry vegano perché è meno grasso e anche

perché le coinquiline di C (la fidanzata) erano una vegana per motivi di

benessere e l’altra flexitariana ma a dieta, della buona musica perché ci

sarebbe stato anche T, bottiglie di birra e di vino biologico ed una quantità

importante di cocaina e polveri sintetiche varie. Cosi mi presentarono la

serata. Come prima cosa gli dissi ovviamente che avrei mangiato a casa e che

avrei assaggiato la prossima volta molto ma proprio molto volentieri questo

curry salutare; e, molto piu importante, che sarei arrivato carico di sigarette (avevo ancora tre stecche dalla CinA), assicurandomi pero che si potesse fumare all’interno; a Bruxelles, durante il covid, spesso i vicini facevano le spie, uscire sul balcone poteva essere un rischio. Mi rassicurarono che in quella casa erano tutti cresciuti sani fumatori e che, come a casa di tutti i fumatori rispettabili, il caldo della dimora è terreno prediletto per la cenere… e che se portavo due stecche non avrei dovuto pagare per i prodotti; come potevo non accettare un tale invito, una tale proposta!?

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Era stranamente un periodo di grande creatività culinaria quello li, mi feci un panino con un po di zucchine cotte tipo alla scapece e funghi misti con una salsa allo yogurt, aneto e menta; ancora me lo ricordo. “Mamma papa sto andando a vede un film a casa di B, poi probabilmente resto li a dormire, o arrivo appena finisce il coprifuoco” “Fai attenzione al covid” “chi altro viene?” “Ma sono tutti negativi?” “Ma i loro genitori?” “Hai il telefono carico?” E dopo tutte queste infinite ritualiche manfrine, finalmente riuscii a prendere le chiavi del motorino. Motorino guidato rigorosamente senza patente (perché tanto quando mai a bruxelles avrebbero fermato un ragazzo bianco vestito bene su una vespa rossa) e mi immersi con la massima potenza di 50cc modificati nel freddo della notte. 20 min di tragitto e solo sei minuti dopo il coprifuoco, arrivo al quarto e ultimo piano di un piccolo ma ultramoderno duplex in un palazzo degli anni 30. Mi portano al secondo piano, nella “soffitta”, e trovo più persone di quante previste e più facce sconosciute che conosciute; buon segno, quando ci si vuole far male è bello farlo con pochi volti amici intorno. Il triste e vergognoso piacere dell’anonimato, del poter rinascere in quanto si è esseri nuovi agli occhi degli sconosciuti, il gusto estatico della mitomania accompagnata allo sballo; si preparava veramente una bella serata. Dopo un maccheronico gesto in cui, da bravo italiano all’estero, presento le due stecche di sigarette e simultaneamente presento me stesso alle diverse persone con facili e rapide chiacchiere, falsi complimenti e tanti sorrisi, cominciarono le danze con un semplice ed elegante gesto: F con un bel sorriso ed un piatto in mano, me lo presenta assieme ad una cannuccia corta di metallo.

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l’aria tutto d’un colpo s’incupisce, comincia a profumare di ansia, sente di angoscia. Per l’appunto questo odore lo si butta giù con l’amaro del cocco e con un bel sorso di cristalli sciolti in acqua oppure con qualche shot o forse con due o tre cucchiaini di ketch. Parte la musica, le sostanze lentamente cominciano a rilasciare il loro veleno e tra una birra ed una sigaretta mi rendo conto che quell’odore non se ne va, anzi forse è pure un po aumentato; continuano i sorsi di bevande varie e i tiri di tabacchi sporcati con chissà che sostanze, le chiacchierate continuano e continuano pure le risate; cos’è che non va? perché quest’aria sembra essere sempre più secca, sempre più tagliente, perché questa pestilenza continuo a sentirla? Gli altri la sentiranno?  Non era tanto che avevo cominciato a fare uso di sostanze comunemente chiamate hard, ma avevo già fatto svariate volte bei mischioni, sentivo bene gli effetti perché li sentivo poco, ma un puzzo come questo non l’avevo mai percepito, e a pensarci bene l’avevo avvertito poco prima di aver tirato la prima botta. E quello che mi sembrava un odore lentamente si rivelava essere sempre più chiaramente un atmosfera, densa per lo più, che permeava da tutti i nostri corpi anzi che era emanata dal nostro stare, da quei sorrisi tristi, da quelle risate scariche, da quegli sguardi affamati di sensazioni facili ed annoiati dalla staticità dei nostri pensieri, da quell’ansia del dover dare la botta per mentire a se stessi che si sta finalmente riempendo il vuoto di vite senza grandi problemi, se non quelli esistenziali causati per lo più da questa stessa condizione. Era questo il sogno dell’Europa per i quali i nostri antenati avevano combattuto ed erano morti? Una sfilza di ragazzi ricchi e privilegiati provenienti da tutte le parti di questo continente, che avevano studiato nelle migliori scuole e nelle più prestigiose università, che parlavano non meno di tre lingue a testa, con lavori salariati molto più del dovuto per le faticosissime quattro mail e 8 colonne di un foglio excel da riempire e mandare giornalmente, riuniti e tenuti insieme dall’abuso di sostanze psicotrope? Veramente era questo il destino di questa gioventù? Miriadi di esistenze anestetizzate, rincoglionite al punto giusto da non farle diventare improduttive. Ecco cosa siamo. Questi pensieri rimbombavano da una parte all’altra di questa triste scatola cranica che mi ritrovo sulle spalle, l’alcol la coca la ketch amplificavano queste riflessioni.

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Non c’era soluzione, avrei dovuto vivere la serata con questa ansiogena disillusione, sperando che la mattina dopo avrei scordato il tutto e sarei potuto tornare a svolgere la mia apatica esistenza da ragazzo moderno e viziato. Questa breve e "romanticizzata” storiella non me la sono scordata, anzi, e malgrado il fatto che dopo questa serata ho continuato a drogarmi ancora per un po e mi sono ritrovato in situazioni infinitamente più deprimenti di quest’ultima, questa nottata è stata per me particolarmente illuminante sulla nostra condizione giovanile. Parlando di me penso di non parlare solo di me: avevo bisogno di perdermi, di scordarmi del mondo, dei miei “dolori” e delle mie “grandi” paure, volevo sballarmi per tirarmi fuori da un velo di quotidianità per poi, poterci ritornare; e credo che in questo processo si veda bene l’arcano dell’abuso di sostanze da parte dei giovani di questo 21esimo secolo.

Questa rapida riflessione prende in causa principalmente il periodo del dopo guerra, anche se ci si è sempre drogati e pure tanto; ma nei cosi detti tempi moderni (addirittura partendo dall’epoca vittoriana) se ne è visto nella nostra società un importante incremento: basti guardare le componenti dei farmaci, le prescrizioni dei medici, tutti i saloni intellettuali che facevano ampi consumi di oppio e di assenzio, la sempre più diffusa produzione industriale di alcolici e psicofarmaci, e tutto questo solo nei primi 40 anni di secolo…. ma ritornando più nello specifico, questi ultimi settant’anni, che sono un periodo di incredibile interesse e complessità in generale, si rivelano essere significativi anche secondo questa chiave: sono stati l’inizio dell’attuale tecnicizzazione della sostanza e quindi del suo progressivo incancrenimento, della sua perdita degli effetti energizzanti e addirittura del suo deterioramento concettuale: in questi anni si comincia a sperimentare nei modi più assurdi e per le ragioni più diverse con tutte le sostanze immaginabili, non aveva alcuna importanza se eri un bambino od un vecchietto, un nero od un ispanico, un omosessuale od un oppositore politico, l’unica cosa che importava era fare “ricerca” (dai vaccini, al progetto mkultra, alla eroina con gli hippie, al crack con i neri, al doping nello sport etc etc) e fare “sviluppo” ( per esempio tutta la creazione di nuove “drugs” che, ad un prezzo non ridicolo, promettono di prolungarti la vita purché continuino a costarti) E successivamente, in un processo sempre più drastico e veloce e per i motivi più vari, si instaura quasi ovunque una sistematica criminalizzazione delle droghe che va di mano in mano con invece un monopolio sempre più preciso, ed un consumo sempre più diffuso di psicofarmaci, da parte di case farmaceutiche e laboratori di tutti i tipi.

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Su un piano politico le sostanze più diverse diventano uno strumento per la rivoluzione, per il cambiamento e per il controllo del futuro; nei due sensi, nelle due direzioni, dalle due parti della barricata: dall’alto verso il basso ( come ci hanno insegnato i bastardi degli anglosassoni, maledetti analitici!) per placare e disorganizzare, e dal basso verso l’alto per abbattere muri ed unirsi. Questa visione è ovviamente ingenua, porta suo malgrado un qualcosa di vero. Purtroppo c’è altrettanta verità nel dire che entrambi questi utilizzi hanno generato cicatrici profonde, storie di dolore e disperazione struggenti in innumerevoli corpi. in questo casino, per tantissime persone la droga prese una piega raramente vista prima, diventa un modo per disingaggiarsi dal mondo, il rifiuto estremo del reale che, per attualizzarsi, richiede un graduale dissolvimento di sé stessi. Andatevi a vedere quest’intervista fatta nel 1976 (guardate il video: Ragionamenti tossici nella Borgata Romanina), ovviamente stiamo parlando di un caso particolare, ma che corrisponde molto bene al nichilismo che è venuto gradualmente a svilupparsi e diffondersi nella nostra società. In tanti casi è quasi un atto di pietà verso se stessi e verso il mondo: “non contribuirò al male di questo sistema, mi allontanerò da tutto fino a scomparire”. Direi però che oggi una nuova convulsione sta prendendo pericolosamente piede, un nuovo modo di relazionarsi alle sostanze sta diventato sempre più prevalente, soprattutto all’interno della nostra società occidentale:


oggi ci si droga come si prende una medicina;

oggi ci si droga con una consapevolezza ed un’aspettativa diversa rispetto al passato, non è più un atto di dissenso e di disaccordo nei confronti del sistema, ma è diventato uno dei tanti modi per continuarlo, per non farlo esaurire, per continuare a consumarlo e a produrlo e facendo ciò disporne tutte le sue potenzialità latenti.


Di fronte a questo sistema che letteralmente profitta nel brutalizzare essenze complesse, nel farle diventare oggetti puramente funzionali, oggetti cioè che hanno valore solo in virtù di quanto riescono ad essere efficienti per il buon compimento del sistema stesso, cosa può fare un individuo se non alterarsi?  Dicono in molti: Tanto non si cambierà mai il mondo, cos’altro può, un singolo, se non prendersi un momento di sospensione da questa macchina infinitamente più grande di se stessi! le droghe servono solo per prendersi una breve “ricreazione”.

Prenderle, con regolarità o meno, è l’unico modo che si ha per poter continuare.

Altri invece dicono di provare a spremere questa macchina, di farne parte fino in fondo per guadagnarsi la libertà da tutte le sue mostruose imposizioni e che per reggere questo vivere serve l’ausilio di una sostanza, che poi sia un antidepressivo o della cocaina fa pochissima differenza. In entrambe i casi (la sostanza) è utilizzata come rimedio alla ferocia di questo sistema: o come anestetizzante per neutralizzare tutte le sane, per quanto dolorose, febbri, cioè le reazioni immunitarie causate da questa relazione sempre più tossica con questo dispositivo (e più semplicemente per anestetizzarsi e farsi 10 minuti di sogno una volta ogni tanto) o come doping per diventare violento e performante come richiesto; ed in entrambi i casi essa risulta essere quindi una facile ammenda a quella vuotezza generata metodicamente da questo mondo, al solo scopo di perpetuarsi; Tuttavia, in questo processo si smarrisce la consapevolezza di cosa si stia realmente proseguendo e, ancor di più, della direzione intrapresa; in quanto le mete, qualunque esse siano, si fanno sempre più prossime, e l’orizzonte sempre più cupo e stretto E pensate a quanto oggi sia comune trovare giovanissimi lavoratori già dipendenti da chissà quante sostanze, e pensate a quanto sia “assurdo” che questa gente spesso faccia lavori da ufficio, lavori cioè in cui le menti vengono banalizzate e i corpi piegati ad essere automi falsamente glorificati.

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Il problema secondo me effettivamente sta nell’aspettativa che si attribuisce alla sostanza, anch’essa ha oggi uno spazio ben definito, si consuma in precisi spazi in precise occasioni con precise sostanze, anche la droga oggi è diventata precisa e controllata, perfettamente inglobata all’interno di un meccanismo produttivo. Sia nella sua produzione che nel suo consumo. Si è perso lo spirito dell’irruzione e della sorpresa (oggi l’effetto è previsto e la sorpresa è programmata… e quindi che cazzo di sorpresa è?) spirito che comunemente era proprio dei giovani, e perdendo ciò si è proprio perso, e si sta perdendo sempre di più, quel soffio, quel vento sacro, che si è da sempre ribellato contro il mondo e le sue ingiustizie. Tutti sono già vecchi annoiati e cinici e questo perché ormai sembra che l’unica risorsa che si ha sia una temporanea perdizione data dalla sostanza per sentire qualcosa che irrompi o disconnetti, in un modo estremamente fittizio, il quotidiano. Come se si cercasse di romperlo, in modo controllato però* prendiamo questa frase:



“La gente non si droga più perché sta male ma perché vuole stare bene”

Byung-Chul Han



(-che purtroppo per correttezza intellettuale citerò, frase trovata su instagram non so da quale dei suoi bellissimi e profondissimi libri, non lo cercherò, non me lo chiedete-) e se mi ricordo bene lo intendeva, all’interno del suo discorso come un mezzo per aderire all’imperativo della positività la droga trasformata in strumento per mantenere sempre alto uno stato artificiale di benessere; questo, anche se lo condivido, non è il senso che ricavo da questa sua frase, Anzi la vedo come un buon esempio per rendere l’immagine del discorso qui proposto, Cioè anche dal suo punto di vista la droga ha cambiato forma, è passata da un atto di passività, lo “stare male”, ad un atto di volontà, “vuole stare bene”, ovviamente possiamo discutere per ore su cosa significhi atto passivo o di volontà, ma rimanendo sul punto: ossia che la causa della mutazione dello spazio che la droga ha preso al giorno d’oggi è legata alla differenza di postura e di scopo che si attribuisce alla sostanza, allora si vede bene come i nostri discorsi confluiscano e che questa frase serva bene al sottolineare il fatto che oggi si consumi la droga come rimedio, come medicina per continuare a far parte del mondo, per rimanere ancorati al sistema che in primo luogo ti consuma e che ti spinge a consumare. E se me lo permettete però preciserei che oggi, quindi, ci si droga non per stare bene o perché si sta male, ma per non stare male, per il ripudio del malessere prima ancora che si presenti, e quindi manco per stare veramente bene. In ultima analisi la questione andrebbe posta sul che cosa intendiamo con lo stare bene; non è forse questa la domanda che ci ha tormentati dall’alba della coscienza? cosa è per voi quindi la vostra droga? da cosa dipende il vostro stare bene?



IL SOGNO DELLA RAGIONE CREA MOSTRI,

IL SOGNO DELLA NOIA CREA DIPENDENTI.


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